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Indicizzazione dei salari e controllo dei prezzi per contrastare l’inflazione

 
Guglielmi Forges Davanzati

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Guglielmi Forges Davanzati

Indicizzazione dei salari e controllo dei prezzi per contrastare l’inflazione

L’inflazione, in Italia, si sta riducendo, ma è stata molto alta ed è tuttora alta

Sabato 30 Settembre 2023, 13:59

È vero che l’inflazione, in Italia, si sta riducendo, ma è anche vero che è stata molto alta ed è tuttora alta (superiore all’8% con picchi maggiori del 12%, a fronte di un massimo storico, negli anni Ottanta, del 20%) e che si innesta in una lunga fase storica di compressione della quota dei salari sul Pil.

È opportuno allora disporre di un’analisi accurata delle sue cause, per verificare l’opportunità di politiche diverse da quelle fin qui messe in atto, che si concentrino, in particolare, sul controllo dei prezzi e sul ripristino di meccanismi di indicizzazione dei salari. Il controllo dei prezzi dovrebbe essere più stringente rispetto alla recente esperienza del price-cap, in quanto - come messo in evidenza da molti analisti - in quest’ultimo caso il limite del prezzo subentra in corrispondenza di un massimo che difficilmente viene raggiunto (e viene raggiunto per tre giorni consecutivi nel mercato di Amsterdam).

Si parte dall’evidenza disponibile. I mercati internazionali, negli ultimi decenni, sono diventati sempre meno concorrenziali, in una dinamica di crescente concentrazione e centralizzazione dei capitali. La numerosità di operazioni di fusione e acquisizione è aumentata e le imprese, oggi, dispongono di un potere di mercato notevolmente superiore rispetto a qualche anno fa. Al tempo stesso, l’andamento della produttività del lavoro ha superato, dagli anni Novanta, quello dei salari reali, che si sono addirittura ridotti a partire dal 1990. La crisi sanitaria, a partire dal 2020, ha fatto registrare, in concomitanza, un aumento dei prezzi che non si verificava da oltre quarant’anni e che, in quella fase, è stata attribuita alle strozzature nelle catene globali del valore, principalmente derivanti dalla guerra commerciale fra Usa e Cina. Non vi è dubbio sul fatto che la guerra in Ucraina - e la speculazione sul gas nell’hub di Amsterdam - ha accresciuto l’inflazione per la componente energetica e alimentare, ma il fenomeno al quale si assiste è il rallentamento della crescita dei prezzi di questi beni (soprattutto per l’inverno eccezionalmente mite).

Come è noto, la BCE ha aumentato a più riprese i tassi di interesse, con l’obiettivo di ridurre la domanda aggregata nell’Eurozona e controllare le pressioni inflazionistiche.

In questo scenario, valgono queste considerazioni, elaborate in un volume a più mani, uscito di recente, dal titolo L’inflazione. Falsi miti e conflitto distributivo (Edizioni Punto Rosso, 2023): 1) Come ha autorevolmente scritto Giovanni Tria (Scelte della BCE, analisi economiche e realtà dell’Europa, «Il Sole 24 Ore», sabato 17 dicembre 2022, n.347, p. 12), «ciò che la BCE teme è che lo shock iniziale di inflazione importata attivi una spirale prezzi-salari. Almeno questo è ciò che dichiara. Ebbene, l’aumento immediato del costo della liquidità e l’aumento prospettato dei tassi di interesse nel futuro incidono sulle politiche di prezzo delle imprese che, se le condizioni di mercato lo consentono, saranno spinte a privilegiare i profitti attuali rispetto ai profitti futuri. Questo vuol dire che, ove possibile, esse cercheranno di scaricare il più possibile sui prezzi l’aumento dei costi». Dunque, il rimedio della Banca centrale europea potrebbe essere peggiore del male, accentuandolo, dal momento che gli interessi sono costi e, potendo, le imprese scaricano su questi margini di profitto accresciuti.

2) Uno studio recente (Reich, 2022 e Ghosh, 2022) ha evidenziato che, in molti Paesi OCSE, l’inflazione è da profitti e deriva proprio dal dato prima richiamato, ovvero dalla crescente concentrazione industriale e dalla maggiore crescita della produttività rispetto al salario.

Il controllo dei prezzi e il ripristino di clausole contrattuali di indicizzazione sembrano due strade da prendere in considerazione, se, appunto, l’inflazione viene fatta dipendere dall’aumento dei profitti. La linea della BCE, peraltro, riducendo la solvibilità delle imprese più fragili (che vedono accresciute le loro passività finanziarie), può contribuire a generare crescita del grado di concentrazione e, per questa via, aumento del tasso di inflazione. Lo scenario attuale, in assenza di forti interventi correttivi, impone infatti di considerare il rallentamento della crescita globale imputabile al rallentamento dell’incremento dei salari, dunque dei consumi e della domanda aggregata.

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