Le terribili sanzioni economico-finanziarie che l’Occidente ha imposto alla Russia un anno e mezzo fa per punirla della sua aggressione all’Ucraina stanno avendo effetto o no? Ce lo chiedevamo già a distanza di un anno dalla loro applicazione (vedi la «Gazzetta» del 25 febbraio 2023). Il fatto nuovo è che da allora il rublo ha preso a scivolare sul mercato dei cambi, al punto che ormai si parla apertamente di crisi valutaria in Russia. Si consideri che una crisi valutaria può condurre alla crisi generale di un Paese, come noi italiani sappiamo benissimo: basta riandare con la memoria al settembre 1992, quando l’uscita della lira dal Sistema monetario europeo sotto le pressioni ribassiste del mercato fu l’ultima goccia che fece traboccare il vaso di un sistema politico ormai corroso dall’interno, che sarebbe poi imploso qualche mese dopo segnando la fine della cosiddetta Prima repubblica. Andando ancor più indietro le tempo, al febbraio 1976, l’azione combinata di crisi valutaria e Brigate rosse stava per affondare l’Italia.
Ma che vuol dire crisi valutaria? La valuta di un Paese (la lira a quel tempo per l’Italia, il rublo oggi per la Russia) è un bene il cui prezzo, in termini di tutte le altre valute del mondo, è fissato dall’incontro fra domanda e offerta su un mercato, il mercato dei cambi. Offrono quella valuta, ad esempio, coloro che l’hanno ricevuta in pagamento per merci o servizi venduti a quel Paese; la domandano coloro che devono pagare per merci o servizi acquistati da quel Paese. Il prezzo - o tasso di cambio - della valuta in questione è più o meno stabile quando lo sono i flussi di pagamenti dovuti o richiesti. Le importazioni ed esportazioni non sono peraltro gli unici motivi per cui sul mercato dei cambi si riversano ordini di vendita o acquisto di quella valuta: motivi a volte più importanti sono i capitali in entrata o in uscita da quel Paese per mille scopi finanziari o industriali.
Il prezzo di riferimento del rublo s’intende normalmente in termini di dollari: all’inizio di quest’anno occorrevano circa 60 rubli per acquistare un dollaro, oggi circa 100. Questa gigantesca svalutazione, avvenuta in pochi mesi, è in gran parte l’effetto delle sanzioni. Ricordo che queste sono sia economiche sia finanziarie. Le prime si incentrano sul blocco di quasi tutte le esportazioni occidentali verso la Russia, dunque hanno fatto inizialmente crollare le importazioni russe, dando un sollievo importante al tasso di cambio del rublo. Ma ben presto le merci occidentali sono state sostituite da merci cinesi, vietnamite, turche, brasiliane, quindi il sollievo per il rublo è stato solo temporaneo. Le esportazioni russe in Occidente di gas naturale e di petrolio sono state pure razionate ma molto più gradualmente, non potendosi comprimere istantaneamente i consumi correnti e attesi delle cittadinanze dei nostri Paesi; dunque gli effetti depressivi sul rublo sono stati lenti.
Tuttavia, dopo un anno abbiamo ormai in gran parte sostituito la Russia con altri paesi produttori di energia per le nostre forniture e i proventi delle aziende russe che esportano gas naturale e petrolio quest’anno sono crollati. La quotazione del rublo ne ha molto sofferto.
La Banca centrale russa ha annunciato il 14 agosto di aver deciso di innalzare il tasso d’interesse a breve termine che essa governa, per contrastare il ribasso del rublo. La mossa non può agire sul canale «reale» delle esportazioni e importazioni, ma solo su quello finanziario dei movimenti di capitali. Questo canale è però già mezzo ostruito, poiché le sanzioni finanziarie comunque impediscono molti afflussi di capitali dai paesi occidentali in Russia. Può avere efficacia solo su quegli imprenditori russi che ulteriormente intendano far defluire il loro denaro fuori dalla Russia, o non rimpatriare i proventi delle loro vendite all’estero, dando loro l’incentivo di un rendimento più alto se le ricchezze restano o arrivano dentro i confini. È dubbio che questa misura possa avere grandi effetti.
Insomma le sanzioni occidentali cominciano a mordere.
Teniamo presente che l’economia russa sta via via perdendo alcuni di quei tratti che la facevano somigliare a un’economia di libero mercato, riportandosi invece gradualmente verso il modello di economia «di comando» tipico dell’era sovietica. Se davvero messi alle strette, i russi potrebbero ad esempio sospendere la convertibilità esterna del rublo, cioè potrebbero far uscire il rublo dal mercato in cui lo si scambia liberamente con il dollaro e le altre valute e ridurlo alla funzione di valuta interna, usabile solo dai suoi cittadini. Le nostre sanzioni potrebbero dunque avere l’effetto di ricacciarli indietro verso un passato di sottosviluppo economico, quale tipicamente si è riscontrato nelle economie totalmente pianificate dall’autorità politica. In tal caso, sarebbe una strada che loro stessi avrebbero scelto, perseguendo fino in fondo una politica vetero-imperiale di presunta potenza militare.