Il carro funebre viene scortato da decine di scooter. I clacson suonano all’impazzata, se possibile ancora più forte quando il corteo procede per un tratto contromano davanti al carcere dove qualche automobilista è costretto persino a fare marcia indietro. Lì, dietro le sbarre, c’è qualcuno che, sia pure a distanza, deve essere messo nelle condizioni di potere dare il suo ultimo saluto. No, non è una scena madre di «Gomorra», ma quanto è accaduto realmente ieri mattina a Bari. Immagini che riportano le lancette dell’orologio molto indietro nel tempo. Un amarissimo tuffo in un lontano passato in bianco e nero, quando in città, erano i terribili anni Novanta, qualcuno omaggiava così un boss ucciso in un agguato.
La vittima in questo caso non è certo un boss. La vittima di un incidente stradale non risulta affiliato ad alcun clan. Noto alle forze dell’ordine (il sospetto è che spacciasse droga), sembra però avere meritato «onori» riservati a figure di primo piano della criminalità. Una evidente sproporzione. Ed è per questo che quelle immagini spaventano. Perché a volte simboli e linguaggi destano più allarme di una sparatoria. Ciò che colpisce, insomma, è la mentalità, la forza intimidatrice trasmessa dai quei frame rimbalzati prima sulle chat whatsapp e poi ripresi dai siti d’informazione. Chi in auto o su un balcone riprende la scena da film, non crede ai suoi occhi.
Da un lato blitz e arresti sembrano avere ridimensionato il potere mafioso in città. Sembra. Del resto, chi non è in carcere preferisce fare affari, con la droga e il pizzo soprattutto. Anche per questo in città (per fortuna) la mafia non spara e non uccide da tempo. Se però la vittima di un incidente stradale, ripetiamo non affiliato e solo noto alle forze dell’ordine, viene omaggiato così, la certezza è che, di fronte a quei video, c’è solo da indignarsi.