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Economia di mercato, le nuove regole Ue nate da teorie obsolete

 
Guglielmo Forges Davanzati

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Guglielmo Forges Davanzati

economia di mercato le nuove regole ue nate da teorie obsolete

I documenti rilasciati pochi giorni fa sulla riforma del Patto di stabilità non introducono, dal punto di vista teorico, molte novità

Mercoledì 24 Maggio 2023, 13:33

La fondazione dell’Unione Monetaria Europea – Trattato di Maastricht (1991) e Patto di Stabilità, innanzitutto - è di orientamento decisamente ordo-liberista, basata sulla convinzione che un’economia di mercato produce la migliore allocazione delle risorse, che l’inflazione (non la disoccupazione) è il principale problema da risolvere e che l’intervento pubblico è sempre fattore di spreco e fonte di inefficienza. I documenti rilasciati pochi giorni fa sulla riforma del Patto di stabilità non introducono, dal punto di vista teorico, molte novità: resta fermo il dogma della riduzione del debito pubblico/Pil, ma cambia l’impalcatura istituzionale, nel senso che le manovre di rientro dovranno essere decise in accordo fra singoli Stati e commissione europea. Resta, cioè, ferma la ben fondata opinione di Omano Prodi: il Trattato di Maastricht è stupido, dal momento che non vi è nessuna ragione stringente per stabilire parametri automatici su deficit e debito. Tanto più in considerazione del fatto che si tratta di numeri del tutto arbitrari, il cui rispetto implicherebbe tassi di crescita enormemente alti e del tutto irrealistici.

Negli ultimi decenni, in Europa, si è registrata una significativa inversione di tendenza della dinamica della spesa pubblica: fra il 1969 e il 1982 la spesa pubblica è passata dal 32 al 42% del Pil nell’intera area OCSE e dal 37% al 50% in Europa, con forte accelerazione, in riduzione, dagli anni Novanta. La crescita europea è stata fortemente squilibrata e accentrata intorno alla Germania, che ha goduto dei vantaggi di una strategia neo-mercantilista: “svalutazione interna”, nell’impossibilità di deprezzare unilateralmente l’euro, tramite riforme del mercato del lavoro e austerità, con aumenti pressoché costanti delle esportazioni nette. Pur sperimentando le dosi più massicce di austerità fra i Paesi europei, e la più ampia caduta dell’Epl (quindi la maggiore accelerazione delle misure di flessibilità del lavoro), l’Italia non ha saputo trarre benefici strutturali e di lungo periodo dal modello di crescita export-led. La guerra russo-ucraina sta facendo sentire i suoi effetti, con un forte rallentamento della crescita tedesca: nel 2022, si è registrato il primo rosso della bilancia commerciale da trent’anni. Le esportazioni sono così scese dello 0,5% a 125,8 miliardi di euro mentre il valore delle importazioni è salito del 2,7% a 126,7 miliardi)

L’austerità tedesca si fonda su una teoria economica discutibile, pre-keynesiana e obsoleta, per la quale la riduzione della spesa pubblica produce i seguenti effetti:

a) Migliora le aspettative sulla futura tassazione e, dunque, stimola i consumi

b) Riduce i tassi di interesse e, dunque, stimola gli investimenti privati

c) Genera moderazione salariale e, per questa via, accresce le esportazioni nette.

Questi effetti, a ben vedere, sono resi nulli dalla considerazione per la quale la compressione della spesa pubblica riduce la domanda interna e, dunque, la crescita economica, come sempre l’esperienza storica ha dimostrato.

Uno dei più autorevoli studiosi dei meccanismi di funzionamento dell’Unione, il belga Paul De Grawe, è giunto alla conclusione per la quale sarebbe ora conveniente per i Paesi che ne fanno parte – sulla base di un’analisi costi/benefici - accelerare il processo di unificazione politica. Per De Grawe, ciò che manca è una «variabile latente» di natura culturale, ovvero il «senso di apparenza» delle popolazioni europee al progetto di unificazione.

Il Patto di Stabilità e Crescita è stato sospeso per consentire incrementi di spesa per far fronte alla crisi sanitaria e si dovrà verificare se riattivarlo a breve o meno. In questo scenario, la posizione del Governo – e soprattutto di Fratelli d’Italia - rischia di peggiorare il quadro. Ciò per la seguente fondamentale, che trova la sua ratio nel fatto che, fino a pochi anni fa, questo partito sosteneva le virtù salvifiche del ritorno alla lira (si ricordi il piano B del prof. Savona) e che, dunque, in assenza di chiare ed esplicite negazioni del passato, il governo italiano potrebbe innescare l’attesa di decisioni di allentamento dei vincoli di appartenenza all’Unione monetaria. L’euroscetticismo (il ricordo di posizioni favorevoli al ritorno alla lira) – si badi, anche solo annunciato - non potrebbe che produrre attacchi speculativi sui titoli del nostro debito pubblico e il deprezzamento della valuta. Ne seguirebbero difficoltà di finanziare la spesa e inflazione importata.

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