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Dall’Ucraina ai talk show: se destra e sinistra prendono in ostaggio il Novecento

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Dall’Ucraina ai talk show: se destra e sinistra prendono in ostaggio il Novecento

Se ogni difesa militare è Resistenza, se ogni celebrazione può essere interpretata con licenza poetica, allora nulla ha più senso né valore. Mille fascismi, nessun fascismo. Mille liberazioni, nessuna liberazione

Mercoledì 26 Aprile 2023, 09:00

Il 25 Aprile come Liberazione dell’Ucraina, la Resistenza come la lotta di Kiev contro l’invasore russo. Con altre parole, e in modo più sfumato, Meloni dixit. E insieme a lei molti altri. All’ombra dell’Altare della Patria e della nebulosa di piazze in festa c’è voglia di attualizzare, di «universalizzare» la ricorrenza mettendola a ricalco di ogni contesto nel quale sia minacciata la libertà di qualcuno.

Un riflesso pavloviano che pone però un problema più generale: può un evento storico e dai connotati ben definiti, essere dilatato all’infinito nello spazio e nel tempo? Negli anni, il 25 Aprile, abbiamo assistito a cicliche Liberazioni - con la «L» maiuscola - da Berlusconi, dallo spread, dalla casta, dall’Europa, dal terrorismo, dalla classe politica parassitaria, dal Covid. Ora arriva l’Ucraina, che almeno è un conflitto vero, più avanti ci sarà Taiwan. Avrebbe potuto esserci anche l’Iraq, invaso dopo la bufala delle armi di distruzione di massa, ma gli Stati sono come i maiali di Orwell: tutti uguali, per carità, ma qualcuno è più uguale di altri. Dipende, fondamentalmente, da chi attacca. Se a farlo è l’Occidente, allora niente Liberazione, niente Resistenza, niente libertà. Ripassate domani. In ogni caso, il punto è chiaro: ognuno, persona o governo che sia, si cuce addosso il 25 Aprile che vuole, come il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che è corso a Praga ad omaggiare il patriota cecoslovacco e anti-sovietico Jan Palach, datosi fuoco in protesta contro quelli che hanno combattuto il nazi-fascismo. Onestamente, c’entra quanto l’Ucraina. Cioè nulla. Ma ormai è la Fiera dell’Est: per due soldi, vale tutto.

È un gioco politico, naturalmente. Ma è soprattutto un gioco di parole che, come insegnava il Buddha, hanno il formidabile potere di «distruggere e creare». Distruggere il 25 Aprile, la Liberazione, la resistenza ma anche il fascismo stesso, come fenomeni storici ben delineati, e creare un simbolo - molto vago - che si può attagliare a tutto. E così Putin diventa un dittatore nazista (l’unico nazista che vuole «denazificare» il mondo), la sua offensiva un’invasione hitleriana e, di contrappunto, la resistenza ucraina diventa come «quella» Resistenza, compresi gli esotici nazi-partigiani di Azov, Svoboda e Pravy Sektor. D’altra parte, a leggere le cronache, ci sono fascisti ovunque: quando i facinorosi anti-restrizioni sanitarie assaltarono la sede della Cgil si parlò di aggressione di matrice fascista. Gli assalitori affermavano, invece, che il fascista era Giuseppe Conte che aveva segregato l’Italia in casa. Ciance, replicarono i più, i veri fascisti sono i no vax. Il tutto mentre i Cobas mettevano in campo una protesta contro Maurizio Landini alla Camera del Lavoro gridandogli: il vero fascista sei tu. Una settimana di follia. Altro che Ventennio, a quanto pare in questo Paese ci sono fascisti ovunque, e immaginiamo altrettanti resistenti. Non mancano nemmeno i lager, e proprio alle latitudini pugliesi, come rilevò il governatore Michele Emiliano anni fa osservando i cantieri della Tap: «Sembra Auschwitz». Poi, a differenza di tanti altri, si scusò, ma è più che evidente come le parole, che creano e distruggono, siano completamente sfuggite di mano e pure da un pezzo.

Su queste colonne, in occasione della Giornata della Memoria, l’ex assessore regionale Silvia Godelli denunciò la necessità impellente di tutelare l’«unicità» dell’Olocausto che, allontanandosi nel tempo, rischia di perdersi nell’indistinta galassia delle tragedie. In realtà, andrebbe tutelata l’unicità di ogni evento storico. Ma se ogni ceffone è squadrismo, se ogni leader che non ci piace è fascista (o nazista, a seconda del grado di antipatia), se ogni restrizione è un lager, se ogni attacco militare è un’avanzata della Panzer-Division hitleriana, se ogni difesa militare è Resistenza, se ogni celebrazione può essere interpretata con licenza poetica, allora nulla ha più senso né valore. Mille fascismi, nessun fascismo. Mille liberazioni, nessuna liberazione.

Naturalmente, quelle del sensazionalismo da talk show e dell’antifascismo come arma politica sono derive volontarie: resi labili i confini della faccenda, si può agevolmente commissariare l’avversario del momento (quanti minuti ha trascorso la Meloni all’altare della Patria? Era sincera? Che faccia ha fatto?) o confezionare la reductio ad hitlerum globale del Grande Satana di turno (oggi Putin, domani Xi). Tutto si piega al bisogno, da sinistra ma anche da destra perché l’Ucraina ieri l’ha tirata in ballo la premier per prima, forse felice di dirottare il discorso (storico) su un terreno che le è più congegnale (l’attualità). Il problema è però sempre lo stesso: il Novecento preso in ostaggio da un’overdose senza fine di polemiche strumentali e acrobatici parallelismi. Qualcuno ce ne liberi. Sarebbe un gran 25 Aprile.

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