C’è un tweet, molto provocatorio, lanciato da un giornalista, molto provocatore, all’indomani dell’arresto del boss Matteo Messina Denaro: «Ma è davvero un assassino?».
Travolto dalle critiche ha poi spiegato: «Se in un piccolo paese vive un assassino come Messina Denaro come mai nessuno, e dico nessuno, si è mai preoccupato di denunciarne la presenza? Rispondete alle mia domanda anziché polemizzare come deficienti».
Dalla Sicilia alla Puglia. Nella relazione della Dia, per l’anno 2022, si scopre che la mafia da noi c’è, è viva, fibrilla e si insinua nella pubblica amministrazione e «perfino» nella politica. Mafia foggiana, criminalità barese e sacra corona unita sono i tre macro scenari criminali presenti. E nella «tranquilla» Basilicata lo scenario si caratterizza per la presenza di sodalizi autoctoni a cui si aggiungono manifestazioni mafiose provenienti dalle regioni limitrofe con il Distretto di Potenza che, secondo il procuratore Curcio, quanto a grado di allarme sul fenomeno si colloca subito dopo quelli tradizionalmente controllati dalle mafie storiche, spinte dall’atavico elevato tasso di disoccupazione e dalle difficoltà economiche in cui versano le imprese e le famiglie, terreno fertile per i sodalizi criminali.
Puglia, terra di sole, mare e vento, campagne e paesi bianchi, grandi città e immense contraddizioni. C’è una tesi, molto discussa, ma purtroppo poco discutibile, per cui la criminalità, i sodalizi dei criminali nascono, trovano terreno fertile e nuove leve dove abbondano le ingiustizie. È il vociare popolare, spesso genuino, dell’Antistato che funziona e fa funzionare il territorio meglio dello Stato, senza inutile burocrazia, senza troppe storie, dove o si fa come deciso o ci si fa male. Basta conoscere le pieghe più nascoste delle nostre città, quelle meno visibili rispetto all’ex contrabbandiere, o al guappo di quartiere che sogna di diventare boss e resta invece un personaggio quasi da fumetto. Sono le «pieghe» in doppiopetto, le mille città nelle città. Della «normalità del male», che cozza contro una realtà che non è quella patinata che troppo spesso appare nelle cronache e nelle fiction televisive. Le facce oscure vengono nascoste, o meglio si nascondono nel vivere quotidiano e si confondono con esso, con confini tra il bene e il male che passano attraverso zone d’ombra sempre più ampie.
La Dia (direzione investigativa antimafia), fa il dovere per cui è stata creata: «La Provincia di Foggia è quella che in Puglia manifesta le più efferate forme di violenza e di aggressività al fine di affermare il controllo del territorio nonostante le incisive attività di contrasto delle forze di polizia e della magistratura». E ancora «i clan della sacra corona unita, anche nel Salento, farebbero sistematico ricorso a pratiche estorsive» e al cosiddetto «metodo mafioso ambientale». Mentre «la criminalità barese si conferma la mafia degli affari con avanzate strategie di investimento e spiccate capacità di insinuarsi all’interno degli enti locali condizionando i flussi economici, il libero mercato e l’attività della pubblica amministrazione. La criminalità organizzata a Bari evidenzia una struttura organizzativa di tipo camorristico».
Cancri che appaiono ancora troppo maligni per essere sconfitti e che anzi vegetano li dove al malaffare tangibile si unisce quello del «vasa vasa», del «tutt’apposto?», dei sotterfugi. C’è nefandezza e nefandezza, mafia e mafia. E non solo una non esclude l’altra, ma se unite sono più forti, invulnerabili, inattaccabili. Tavole ricche che generano briciole in grado di sfamare ampie fette della società. Non è la mafia che uccide, che minaccia, che taglieggia, che spaccia. Ma è quella del medico raccomandato dalla politica che viene assunto al posto del collega bravo. È la mafia dei contributi pubblici dati a casaccio, ma con un casaccio accuratamente «pianificato»; degli appalti e dei bandi che premiano i soliti e gettano sul lastrico chi non ha santi cui rivolgersi. È la mafia dei leccaculo che prima o poi qualcosa in tasca se la mettono, o dei concorsi pilotati che escludono spesso chi si prepara spargendo sudore sui testi, o di chi evade le tasse e la fa sempre franca, di chi nasce con il futuro spianato perché c’è sempre un favore da ripagare e se non c’è ci sarà, di chi fa business anche con le iniziative contro la mafia.
Una «mafietta» che è l’ossigeno delle grandi organizzazioni del male. Una «mafietta» talmente diffusa in Italia, e ancora di più nel Sud, che diventa stile di vita, consuetudine, costume per alcuni; rassegnazione per altri. E che quindi non sarà mai vinta.