«Viva Marx! Viva Lenin! Viva Mao Tse Tung no! Non si gioca a ping pong con chi spara sui Vietcong!» Era il 1972 e la fantasia dei sessantottini italiani coniò questo slogan contro la «Ping pong Diplomacy», l’invito cinese alla squadra americana di tennis-tavolo per una serie di incontri. Si trattò più di dimostrazioni che di un vero e proprio torneo. Né Pechino né Washington volevano che ci fossero vincitori e vinti.
Poco dopo, nel febbraio del 1972, Richard Nixon a Pechino incontrò Mao in una visita che durò una settimana. Infatti, ben oltre il ping pong c’era stata la diplomazia discretissima di Henry Kissinger e Zhou Enlai. Le relazioni tra Stati Uniti e Cina si erano interrotte nel 1949 ma nel 1972 i rapporti tra Cina e Unione Sovietica erano ai minimi termini per dispute territoriali e ideologiche. La crepa non era sfuggita a Kissinger che aveva colto la necessità di Pechino di uscire dall’isolamento.
Da allora la diplomazia cinese ne ha fatta di strada, culminando l’11 dicembre 2001 con l’ingresso nel WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Da allora gli scambi, i partenariati, le joint venture portarono alla redenzione milioni di asiatici ed una conseguente rivoluzione di economie e di consuetudini in Occidente.
La visita di Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen a Pechino non è paragonabile al disgelo di Nixon. C’è la guerra in Ucraina e Xi Jinping è appena tornato da un incontro con Putin. Ovviamente all’ordine del giorno dei colloqui c’è il tentativo di avviare a soluzione la questione ucraina. Per Macron, che viene da una Francia sconvolta dalle manifestazioni contro il suo governo per l’innalzamento dell’età pensionabile, è l’occasione per ristabilire un ruolo. Per von der Leyen, che si avvia a fine mandato, è un investimento per il futuro. Certamente i think tank cinesi, cui nulla sfugge, avranno valutato accuratamente questa occasione. Non escluso il dato che oggi ai minimi termini è il rapporto con gli Stati Uniti. Pechino non si illude che tra Europa e Stati Uniti vi sia un disallineamento strategico ma gli interessi commerciali francesi e tedeschi non coincidono con quelli di Washington. Tra l’altro va ricordato che la francese Airbus si è aggiudicata una commessa da 37 md. di dollari (più o meno una Finanziaria alle nostre latitudini) per la fornitura alla Cina di 300 aerei.
Non per caso Macron è sbarcato a Pechino accompagnato da una sessantina di manager di grandi aziende. Anche le visioni di Macron e di von der Leyen non coincidono esattamente. Più orientato al business as usual il francese, più critica delle pulsioni mercantilistiche impresse a suo tempo da Angela Merkel, la presidente della Commissione Europea.
All’inizio della guerra in Ucraina, Biden chiese a Xi Jinping di svolgere un ruolo di mediazione con Putin ma Xi citò un vecchio proverbio cinese: «È compito di chi ha messo il sonaglio al collo della tigre, toglierlo».
Poi, deve averci ripensato. La guerra in Ucraina può essere l’occasione per accrescere ancora di più il valore delle azioni della Cina sulla scena internazionale e la missione Macron-von der Leyen sembra dargli ragione.
In tutto questo l’Italia starebbe per mandare una squadra navale nel Mar Cinese Meridionale a sostegno della flotta statunitense. Un segnale molto diverso dalla missione eurofrancese e più allineato al «Washington consensus».
Tra Francia, Ue, Germania e Italia forse un po’ troppo «ordine sparso», oppure un sapiente gioco delle parti?
Si vedrà.