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Se l’algoritmo ti manda in pappa il cervello

 
Rossana Gismondi

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Rossana Gismondi

Se l’algoritmo ti manda in pappa il cervello

Il diario di oggi, per i più giovani e non solo per loro, è lo smartphone

Sabato 08 Aprile 2023, 13:18

Quando la Rai assolve alla sua funzione primaria di servizio pubblico, il pagamento del canone trova un fondamento. «Presa diretta» condotta da Riccardo Iacona su Raitre è una delle poche trasmissioni che rafforza questa convinzione.

La puntata intitolata «La Scatola nera» di qualche settimana fa è l’esempio di che cosa dovrebbe essere la tv di Stato, di come andrebbe fatta. Del perché il giornalismo, televisivo o meno, serva ai cittadini più di quanto essi stessi servano alla sopravvivenza del giornalismo: e non è poco. Non conoscevo la storia, raccontata da Iacona, di Molly Russell, 14enne britannica suicidatasi nel 2017. Potrebbe essere la storia di tante ragazzine: forse lo è già anche se non – fortunatamente - nel tragico epilogo. Una storia drammatica e sconcertante. La conosciamo poiché il papà di Molly non si è chiuso nel suo indicibile dolore tentando di comprendere, disperatamente capire, perché una ragazzina dalla vita normale, dopo una giornata qualsiasi e aver dato la buonanotte a mamma, papà e fratelli vada nella sua cameretta e decida di uccidersi.

Non troppo tempo fa si frugava nel diario degli adolescenti per scoprirne inquietudini, angosce, amori spezzati. Il diario di oggi, per i più giovani e non solo per loro, è lo smartphone. Anche Molly ne aveva uno. Anche Molly l’aveva perennemente tra le mani. Anche Molly se lo portava a letto, scrollando sino a notte fonda come una moltitudine di ragazzini. E anche Molly, nonostante il limite dell’età sia per legge a 13 anni, appena dodicenne aveva indisturbatamente aperto i suoi profili social: i quali social, sappiamo, attraverso gli algoritmi determinano con i nostri like e condivisioni una raccolta di dati che ci appartengono. Servendoci sul piatto scuro dello smartphone, mentre scorriamo, i cosiddetti «suggeriti per te», ovvero infinità di argomenti, conditi da pubblicità, riconducibili alle nostre attività social.

Vale a dire, in soldoni (proprio soldoni sì, gli stessi che consentono guadagni miliardari ai cosiddetti imprenditori digitali): ti faccio leggere, vedere, tutti i contenuti che secondo me intelligenza artificiale, possono interessarti. Una volta, due, ancora e ancora. Per ore ed ore. Ogni giorno. Ogni volta che ti colleghi al tuo social.

C’è bisogno di sottolineare quanto, l’ incessante proliferare di video, contenuti, testi possa influire sulla personalità di un’adolescente? Un’altra domanda retorica: non è forse questa la generazione che guarda agli influencer digitali come ad esempi cui ispirarsi? «Il mondo virtuale in cui si era rinchiusa Molly negli ultimi mesi- ha detto il papà- era il più cupo dei mondi». Gela il sangue nelle vene di noi adulti apprendere che per ben 2mila e 600 volte, sui social, nei sei mesi che hanno preceduto la sua decisione di uccidersi, Molly abbia potuto -in un abisso sempre crescente e a senso unico- vedere adolescenti come lei, tagliuzzarsi braccia e gambe, messaggi sulla depressione-impossibile-da-risolvere , vari modi di suicidarsi. Persino hashtag raggruppanti materiale pregno di ogni dolore psicologico: duemila e cento volte. Più scrollava, più vedeva cose terrificanti. «La verità – ha detto il papà - è che internet fa soldi con le miserie altrui. Ed è immorale che non si stiano prendendo misure per salvaguardare i giovani».

Nella causa legale che questo sventurato padre ha intentato contro le potentissime aziende della rete, la Giustizia britannica ha stabilito il principio che i contenuti dei social media, profilati per Molly, sono tra le cause della sua morte. Agghiacciante, terribile. Temibile. Perché il nostro mondo è pieno di Molly che scrollano il cellulare sui social: ignari che si stiano pappando il loro cervello e il loro futuro. Dall’ottimo giornalismo d’inchiesta di «Presa Diretta» abbiamo saputo che negli Usa migliaia di famiglie hanno avviato cause legali sostenendo che i loro figli siano stati danneggiati dall’amplificazione dei loro disturbi attraverso le piattaforme. A Seattle tutte le scuole cittadine hanno fatto causa ai social per gli stessi motivi. Il governo Usa, per fronteggiare quello che si sta delineando come un allarme sociale, ha stanziato 440 mln di dollari a favore di uno studio (ABCD Study, Tucsa, Oklahoma) sullo sviluppo cerebrale di 11 mila bambini dai 10 sino ai 20 anni. Lo studio è ancora in

corso ma, oltre ad alterazioni fisiche della massa cerebrale tra i ragazzi che fanno uso continuo dei social (quanti dei nostri nipoti lo fanno?) si sono evidenziati: aumento del disagio, ansia, stress, disturbi dell’attenzione, depressione, autolesionismo.

Dati i fatti e l’evidenza che coinvolgono milioni di ragazzi di ogni Paese è lecito attendersi ( magari anche pretendere) che i Governi di ogni Paese trovino argini resistenti (nelle Scuole, per esempio) e muri altissimi ( vincoli, provvedimenti e leggi poderose per annullare le profilazioni social) necessarie a fronteggiare lo tsunami sociale di un’intelligenza artificiale che rischia di travolgere intere generazioni.

Elon Musk , multimiliardario digitale, e altri mille tra ricercatori e imprenditori della Silicon Valley hanno lanciato l’allarme sull’intelligenza artificiale di cui si deve rallentare l’utilizzo. «È un rischio per l’umanità» hanno detto. Già: come nella peggiore e angosciante fantascienza. E le profilazioni sui social sono solo un aspetto di quanto possa fare - male - un’intelligenza artificiale. Specie sui giovanissimi. Che ciascuno faccia la propria parte, cominciando dalla famiglia, per proteggere i ragazzini da questo orrore: il più finto, infido, cupo dei mondi potrebbe diventare il loro unico mondo.

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