La Francia vista da vicino in questi giorni di manifestazioni e incendi, appare come il combinato disposto tra conflitti che anticipano quanto potrà presto accadere anche in altri Paesi e riflessi antichi autoctoni, mai sopiti, che periodicamente tornano a manifestarsi. Solo chi saprà tener conto di questa cornice comprenderà le effettive ragioni che hanno scatenato la protesta, spesso violenta, per la riforma che ha spostato a sessantaquattro anni l’età necessaria ad andare in pensione. In caso contrario, l’oggetto del contendere apparirà non commisurato alla portata della contestazione.
Quel limite, infatti, se lo si considera comparativamente confrontandolo con quanto previsto nelle altre democrazie avanzate, è persino troppo basso. Neppure il fatto che la riforma metta fine ai regimi speciali è ragione sufficiente a spiegare l’accaduto: ci troviamo pur sempre nel Paese di Napoleone, che ha inventato il centralismo statale e teorizzato come questo imponga un certo grado di uniformità. Per quanto concerne poi «il metodo» con il quale la riforma è stata approvata, il governo ha utilizzato l’articolo 49 della Costituzione - una sorta di fiducia preventiva, che evita il dibattito parlamentare - per diminuire il rischio di agguati e di voti strumentali. Alcuni hanno a proposito notato che si sarebbe trattato di una forzatura ma ai puristi della democrazia va ricordato quanto accadde in Italia. Qualcosa di ancora più estremo: la riforma fu partorita da un governo tecnico privo di legittimazione popolare, attraverso mozione di fiducia che, per la prassi dei cosiddetti maxi emendamenti, ormai non dà maggiori garanzie di democraticità dell’articolo 49 della Costituzione della V Repubblica.
La riforma è stata infine approvata, anche se si attende il vaglio - affatto scontato - del Consiglio Costituzionale e le proteste negli ultimi giorni si sono affievolite. Negli ambienti politici francesi è opinione diffusa, però, che esse continueranno a più bassa intensità, come fenomeno endemico che tenderà a cronicizzarsi. Se l’esito sarà veramente questo, esso porterà in emersione il motivo di più profonda attualità che i fatti di questi giorni stanno rivelando. Il rischio, cioè, che lo scambio tra accettazione della democrazia e assicurazione del benessere stia saltando. I sistemi di welfare sono messi sotto pressione, innanzitutto dalla crisi demografica, e lo Stato democratico non è più in grado di garantire ciò che assicurava in passato. Per questa ragione, in una situazione di crescente incertezza personale, anche un minimo ritocco allo stato sociale dettato da buon senso, è sufficiente a scatenare un «quarantotto».
Il riferimento alla data nella quale la rivoluzione parigina contagiò l’Europa permette di provare a spiegare perché questa crisi si stia manifestando con particolare virulenza proprio oltr’Alpe. Bisogna, per questo, aprire il catalogo dei «mal francesi». Molti commentatori, infatti, hanno messo l’accento sulla periodicità delle rivolte. Altri hanno evidenziato la contraddizione insita in un corpo politico che ha bisogno del monarca (non importa se repubblicano), salvo dopo un po’ rivoltarsi contro di esso: è successo a de Gaulle nel ‘68, è accaduto a Macron in questi giorni. Queste analisi colgono qualcosa di effettivo. Considerando però come, in particolare negli ultimi tempi, la Francia prenda fuoco ogni qualvolta sono messi in discussione diritti legati al lavoro, è possibile ipotizzare anche qualcosa di più profondo: una sorta di riflesso «russoviano» che lega l’idea della libertà allo stato di natura; a una condizione, cioè, nella quale l’uomo si trova ad essere libero da ogni impegno e padrone assoluto del suo tempo.
Questo sentimento ha anche risvolti positivi. Quando studiavo de Gaulle e per questo incontravo quanti lo avevano affiancato - un tempo potentissimi -, sono restato sorpreso dal fatto che molti di essi in età ancor giovane avevano scelto di ritirarsi dalla vita pubblica, di riprendersi tutto il loro tempo senza ricercare altro potere e altro onore. È probabilmente questa considerazione del lavoro che porta a considerare come un attentato insopportabile quel che a volte - come in questo caso - è solo il portato inevitabile dei tempi. Un riflesso profondo, dunque, che se sollecitato senza precauzione può provocare conseguenze politiche anche immediate. Il panorama politico della Francia, d’altro canto, assieme al pronostico sui possibili scenari futuri, è cambiato dopo le manifestazioni di questi giorni. Questo, però, è un altro capitolo della vicenda del quale presto varrà la pena di parlare.