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Come nel 2008, la grande crisi di un sistema drogato che ignora l’economia reale

Come nel 2008, la grande crisi di un sistema drogato che ignora l’economia reale

 
Marcello Foa

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Marcello Foa

Come nel 2008, la grande crisi di un sistema drogato che ignora l’economia reale

La verità è che sia il mondo politico sia quello finanziario si sono rifiutati di imparare la lezione dell’ultima grande crisi, quella dei mutui subprime del 2008 e dunque di correggere storture che sono diventate strutturali

Giovedì 16 Marzo 2023, 12:31

La crisi finanziaria che sta scuotendo il mondo bancario è sorprendente per le modalità, perché nessuno poteva prevedere il crollo di un Istituto come la Silicon Valley Bank, che fino a pochi giorni prima veniva indicato come solido ed esemplare. Ma non è affatto sorprendente per le cause sottostanti e tanto meno per l’effetto domino che sta provocando in tutto il mondo, a cominciare dalla Svizzera dove il Credit Suisse vive le giornate più drammatiche della sua lunga storia.

La verità è che sia il mondo politico sia quello finanziario si sono rifiutati di imparare la lezione dell’ultima grande crisi, quella dei mutui subprime del 2008 e dunque di correggere storture che sono diventate strutturali. Semplificando al massimo il ragionamento, affinché anche il lettore che ha poca dimestichezza con l’economia possa capire, questa crisi nasce nel 1999 a Washington, quando l’allora Presidente Bill Clinton, d’intesa con il Partito Repubblicano, abrogò la Legge Glass-Steagle, che aveva garantito la stabilità del sistema finanziario per 70 anni di fila. Si basava su un’idea semplice e avveduta: le banche commerciali (per intenderci, quelle che gestiscono i conti correnti, i mutui, i crediti alle aziende), dovevano essere rigorosamente separate da quelle di affari, che per loro natura fanno investimenti più rischiosi. L’intenzione era di evitare una nuova crisi come quella del 1929, che divenne devastante a causa del contagio fra istituti, finendo per travolgere anche banche sane.

Dal 1999 la banca è diventata universale: poteva far di tutto. E tutto divenne collegato: crediti, gestione del risparmio, investimenti speculativi, inglobando persino attività assicurative. E nel 2008 il mondo pagò un prezzo elevatissimo, poiché le alchimie finanziarie dietro ai cosiddetti mutui subprime portarono al fallimento della Lehman Brothers e a una crisi globale di proporzioni gigantesche. Ma le lezione non fu capita. Perché quasi quindici anni fa non solo i governi e le banche centrali decisero di non reintrodurre quelle utilissime paratie ma si trovarono di fronte a un bivio, dovendo decidere se intraprendere riforme tali da ancorare virtuosamente la finanza all’economia reale oppure far finta di nulla e preoccuparsi semplicemente di evitare il fallimento di altre banche. Decisero di far finta di nulla. Come? «Stampando» denaro in proporzioni inaudite, pari a 27 trilioni di dollari. Quando sentite parlare di Quantitative Easing significa questo: stampare moneta a più non posso, per colmare i buchi di bilancio delle banche, per comprare titoli di Stato invenduti, per pompare artificialmente l’economia. Una droga, somministrata ininterrottamente per tredici anni.

Quando, negli ultimi tempi, le banche centrali hanno deciso di ridurre le dosi, il sistema è andato in crisi. Da un lato, come abbiamo visto, è esplosa improvvisamente l’inflazione (come ampiamente previsto dagli economisti più avveduti), dall’altro, complice anche un 2022 disastroso sui mercati finanziari, sono emerse sofferenze da astinenza. Oggi ci troviamo, pertanto, a rivivere lo stesso film del 2008: le società di rating hanno certificato la solidità di banche come la Silicon Valley che in realtà erano moribonde, le severissime autorità di vigilanza non si sono accorte di nulla: cieche, sorde e mute. Come i governi e le banche centrali, ovvero l’establishment politico-finanziario che gestisce la globalizzazione, anche finanziaria. E, come da copione, il fallimento dell’istituto californiano ha generato un effetto domino innanzitutto negli Stati Uniti, e rapidamente, anche in Europa.

Il Credit Suisse c’entra non perché abbia nascosto i dati, che sono trasparenti e noti a tutti da tempo. È un glorioso gigante invecchiato improvvisamente che negli ultimi mesi era impegnato in un difficile eppur promettente risanamento. Ma i mercati si basano sulla fiducia. E da qualche ora, come nel 2008, nessuno si fida più di nessuno. I primi a risentirne sono le banche deboli o in convalescenza. Come appunto il Credit Suisse, per il quale il principale azionista, la Saudi National Bank, ha escluso ulteriori aiuti finanziari, oltre a quelli concessi recentemente, facendo precipitare sotto i due franchi il valore dell’azione ovvero prossimo allo zero.

Nessun sa come finirà la crisi del colosso elvetico, ma sui mercati tutti si interrogano su chi sarà il prossimo e dove, mentre alle menti più lucide appare evidente che questa rappresenta innanzitutto la crisi di credibilità di un sistema e delle sue élite. E sperano che non sia risolta con i soliti metodi e le solite logiche, bensì riscoprendo antiche, intramontabili saggezze, affinché la finanza torni ad essere uno strumento al servizio dell’economia reale. Nell’interesse, finalmente, di tutti.

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