Tutti addosso agli scafisti, male assoluto, passibili di condanna fino a trent’anni di carcere e perseguibili in tutto il globo terracqueo (vasto, quanto improbabile, programma). Tutti si associano alla esecrazione in un impulso di autoassoluzione ipocrita.
Certo gli scafisti non sono gentiluomini, ma, perlopiù, delinquenti di piccola taglia. Quelli che guidano i barconi, e sono i soli che rischiano, sono ingaggiati per quattro soldi, e sono anch’essi sventurati che rischiano la vita. Non sono loro ad intercettare i fiumi di denaro dei clandestini.
E i pesci grossi, i grandi trafficanti, difficilmente saranno individuati e puliti. Ma poi anche i pesci grossi sono loro, o solo loro, il problema? Non ci rendiamo conto che, anche se trafficanti, per i clandestini rappresentano l’ultima speranza? E se eliminiamo gli scafisti, è tutto a posto? La nostra coscienza è pulita? Pensiamo di contrastare così i fenomeni migratori che sono il sale delle civiltà e che tanto giovano, e gioverebbero, ad un occidente esausto e denatalizzato? E comunque, eliminati gli scafisti, lasciamo gli individui, gli esseri umani, marcire nei campi profughi, nelle prigioni libiche, sfidare e subire guerre e persecuzioni? O ci laviamo ancora la coscienza esaltando e sostenendo le O.N.G. che con sistemi di salvataggio random diventano parte del problema? E la questione, lasciatemelo dire, non riguarda solo i perseguitati, ma anche i cosiddetti migranti economici, quelli che fuggono non dalla guerra ma dalla miseria volendo partecipare, anche accontentandosi delle briciole, al gran banchetto del capitalismo, o a quello che percepiscono come tale.
Sappiamo che eliminando gli scafisti cancelliamo, allo stato, ogni anelito di speranza in una vita migliore per sé e per la propria famiglia. Questi non sono spericolati che mettono sconsideratamente a repentaglio la vita dei propri figli, ma disperati che li vogliono salvare da una vita di disperazione migrando in un Occidente il cui benessere deriva, in una parte anche considerevole, dallo sfruttamento delle risorse dei paesi d’origine.
Certo, nessuno ha la ricetta in tasca. Bisogna probabilmente pensare ad una emigrazione controllata con percorsi legali di ingresso ma, soprattutto, a un grande “piano Marshall“ con cui l’occidente si tassa di una quota significativa (ma lo vorrà mai fare?) del proprio reddito per superare l’intollerabile squilibrio tra chi ha troppo e spreca e chi muore di fame.
Altrimenti sarebbe inevitabile, anzi, a mio avviso, è alle viste e in gran parte già in atto, una nuova forma dell’eterna lotta di classe, poveri contro ricchi (popoli poveri contro paesi ricchi) sia pure in forme irregolari e con esiti imprevedibili. E le grandi potenze, peraltro, sono già all’opera per disegnare nuovi equilibri geopolitici.
Intendiamoci, questo non vuol essere un “elogio degli scafisti”, ma prendersela solo con loro pensando di aver risolto ogni problema, mi pare farisaico e riduttivo.