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Sud e Lucania, quel «Fate presto» di Mattarella

 
Giuseppe Lupo

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Giuseppe Lupo

Sud e Lucania, quel «Fate presto» di Mattarella

Ma era anche la testimonianza del ritardo, morale prima che geografico ed economico, e conteneva l’invito alla salvezza, non dissimile per modalità e per forma dal monito rivolto dal Capo dello Stato ai giovani lucani che chiedevano quale fosse la formula per uscire dalla dimensione del ritardo

Giovedì 09 Marzo 2023, 13:44

Potrà sembrare una coincidenza curiosa e sarebbe difficile pensarla diversamente, ma tra le parole che il Presidente Mattarella ha pronunciato durante le celebrazioni del quarantennale dell’Università di Basilicata un paio di esse parevano il calco filologico del titolo con cui si apriva «Il Mattino» del 26 novembre 1980, tre giorni dopo il terremoto dell’Irpinia. Quel titolo - «Fate presto», scritto a caratteri cubitali e posizionato sopra le immagini di macerie - era un ordine, un monito, un auspicio: bisognava velocizzare l’arrivo dei soccorsi se si voleva salvare vite umane.

Ma era anche la testimonianza del ritardo, morale prima che geografico ed economico, e conteneva l’invito alla salvezza, non dissimile per modalità e per forma dal monito rivolto dal Capo dello Stato ai giovani lucani che chiedevano quale fosse la formula per uscire dalla dimensione del ritardo. Anche in questo caso - e ripeto: si tratta di una coincidenza che filologicamente lascia poco spazio all’estro fantastico - la frase è stata: «Fare presto oggi è un elemento essenziale di richiamo perché i ritmi della vita cambiano velocemente, sempre più velocemente, e le risposte devono essere tempestive altrimenti giungono in ritardo inutilmente». Di nuovo il «fare presto», declamato in nome di un’altra salvezza, quarant’anni dopo, diventa un passaggio obbligato per la Lucania e per l’intero Mezzogiorno. Si potrebbe discutere a lungo sulle tante, possibili distinzioni di significati, sulle circostanze che hanno determinato la validità di tale coincidenza e perfino sul rischio di forzatura, ma una cosa è certa: sono trascorsi quattro decenni e nell’entroterra meridionale continua a gravare il sentimento di una lentezza, la percezione di un procedere a velocità talmente ridotta da rendere obbligatorio mettersi al passo con i ritmi con cui invece avanzano i giovani di altre comunità o di altre regioni. Non è il momento di valutare quanto sia necessario essere più intraprendenti e nemmeno filosofare se sia o non sia utile rallentare il suo passo da parte dell’homo currens, come diversi anni fa chiedeva a gran voce Franco Cassano nel suo Il pensiero meridiano.

Però è indubbio che sia insito un carattere d’urgenza nelle parole del Presidente Mattarella, un consiglio a fare di più e meglio di quanto non abbiano operato le classi dirigenti nel periodo che va dal terremoto del 1980 a oggi, un tempo abbastanza lungo per verificare se la dimensione di lentezza si sia capovolta in rapidità. Quarant’anni è lo stesso segmento in cui ha cominciato a muoversi l’Ateneo lucano, nato dopo il sisma e forse anche in relazione alle accelerazioni che il sisma avevano prodotto, come risarcimento per una terra ferita o come elemento che avrebbe sanato quel ritardo storico di cui si componeva la condizione meridionale, in Lucania e non solo. Restano ancora oggi vivi gli echi dei dibattiti nei mesi successivi al terremoto, dove la premura di ricostruire e di ripartire dava una scossa traumatica alla stasi in cui si erano arenate le discussioni intorno all’impegno di dotare la Basilicata di una propria Università; discussioni cominciate addirittura negli anni Sessanta, dibattute tanto nei circoli culturali quanto nelle sedi di partito, spesso condivise da chi si opponeva alla nascita di un Ateneo per chissà quali ragioni ideologiche.

Tutto ciò che è accaduto è storia e i vantaggi, in termini di opportunità democratica, sono stati indubbiamente numerosi. Una domanda, però, continua a serpeggiare e riguarda il rapporto tra Università e territorio. Se è vero che l’origine dell’Ateneo lucano sta in quel «Fate presto», gridato dal «Mattino» ai soccorritori, è altrettanto vero che bisognerebbe interrogarsi sui risultati conseguiti, su quanto cioè l’Università ha inciso nella storia recente della Lucania, su quali meriti ha avuto in relazione a un più o meno pronunciato sviluppo che ci si aspettava e che purtroppo non è ancora avvenuto in forma convincente.

Su questo tema probabilmente il «Fate presto» non è stato così esaudito perché qualcosa manca ancora alla tempestività in termini di risultati. L’impressione è che sarebbe stato utile fare di più, stringere ancora meglio un patto di collaborazione con le comunità che attendevano soccorso anche da un Ateneo. Il quale dovrebbe essere, ricordiamolo bene, non uno strumento con cui esercitare il potere, per quanto astratto e anacronistico, ma un motore - il motore intellettuale - di una regione che aspetta di accelerare.

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