L’attualità che questi giorni ci propone fa temere per l’autonomia della politica e ancor più per la separazione del giudizio politico da quello penale. Mettiamo in ordine gli avvenimenti. Alcuni giorni fa il tribunale di Milano ha assolto Silvio Berlusconi dall’accusa di corruzione di testimone «perché il fatto non sussiste». Quel processo è durato sei anni, una infinità. I tempi si sono così tanto dilatati anche perché la procura del capoluogo lombardo ha provato a forzare la mano per giungere a una condanna esemplare. Alla fine il leader di Forza Italia è stato assolto perché chi si riteneva avesse pagato «non poteva rivestire l’ufficio pubblico di testimone» e, dunque, non poteva essere corrotto in quanto tale. Ciò ovviamente non significa che i fatti ai quali la procura ha cercato di conferire un rilievo spettacolare non vi siano stati. E non implica quindi che su quegli accadimenti ognuno possa dare il giudizio che crede: anche, nel caso, un giudizio molto duro perché l’assoluzione giudiziaria non comporta automaticamente un’assoluzione politica.
Nella notte del 26 febbraio in mare, a pochi metri dalla spiaggia calabrese di Cutro, sono morte 68 persone tra cui 14 minori. Di quegli avvenimenti non tutto ancora è noto e, se dalle indagini emergeranno fatti penalmente rilevanti, la giustizia dovrà fare il suo corso. Non c’è invece bisogno di attendere i magistrati per stabilire già da ora, ad esempio, che le parole pronunziate dal Ministro degli Interni dopo il naufragio siano state sbagliate. E per ritenere che la politica dell’immigrazione - sia per quanto concerne gli aspetti umanitari che quelli sociali - non possa essere condotta con il machete. L’impressione, invece, è che c’è chi voglia attendere i giudici per determinare eventuali conseguenze politiche di quella dolorosa vicenda.
Infine, l’avviso di garanzia che ha raggiunto Conte e Speranza per la mancata zona rossa a Nembro e Alzano, quando tre anni fa la pandemia ebbe inizio. Un avviso di garanzia non implica per forza un rinvio a giudizio. Colpisce, non di meno, la motivazione che sorregge il supposto reato. Sulla base di una consulenza affidata al microbiologo Andrea Crisanti e di tabelle numeriche che riportano i decessi che si sarebbero evitati giorno dopo giorno, si ipotizza che la decisione del governo di non stabilire quella zona rossa avrebbe causato migliaia di morti.
Mi sarà consentito, a questo punto, un inciso di natura personale. In quei tragici frangenti svolgevo la funzione di rappresentante del popolo e mi sono opposto al governo Conte e a come fu gestita quella vicenda. Non dimentico, però, che tutto il mondo si trovò allora di fronte ad un salto nel buio pesto e che prendere decisioni implicava, in modo automatico, il rischio di sbagliare. Rivendico, inoltre, il mio diritto di continuare a pensare che il governo Conte abbia gestito malissimo la pandemia e che l’arrivo di Draghi sia stato un toccasana, anche se la vicenda giudiziaria dovesse stabilire - come mi auguro - che non ci siano fatti penalmente rilevanti. Insomma: giudizio penale e giudizio politico debbono mantenere, una loro autonomia anche di fronte a circostanze drammatiche. Durante la pandemia Boris Johnson nel Regno Unito ne ha fatte più di Carlo in Francia; ha perduto per questo il ruolo di Primo Ministro ma nessuno si è sognato di aprire un’indagine su di lui.
È noto che in passato qualche settore della magistratura, nel rapporto con l’opinione pubblica, abbia provato ad arrogarsi funzioni che appartengono ad altri poteri (a proposito, non sarebbe tempo perso una riflessione su come quel tentativo sia andato a finir male).
L’impressione è che oggi sia invece la politica ad esser tentata di rifugiarsi in possibili assoluzioni giudiziarie (per far discendere da esse assoluzioni tout court), anziché rivendicare il suo sacrosanto diritto di decidere e quindi di poter sbagliare. Sarebbe un errore fatale che legittimerebbe l’esistenza di «soluzioni giuste» a priori. Se, infatti, un Pubblico Ministero può ipotizzare, senza che nessuno si inquieti, che a decidere sulla pandemia debbano essere i virologi, perché non chiedere ai generali di decidere sulla guerra e pretendere dai geologi che prevedano con certezza i terremoti? I politici, alla fine della fiera, saranno ritenuti inutili se non dannosi: un riflesso tipico dei regimi autoritari, mentre nelle democrazie mature è il politico a decidere al riparo dall’influenza di altri poteri ma se sbaglia paga di persona, passando la mano.