Se da un lato è una pericolosa utopia pensare di fermare il progresso, non meno pericoloso è il tentativo di affrettarne i tempi, facendo prevalere l’ideologia sulla ragione. Non può dunque non suscitare perplessità la decisione, presa dall’Unione Europea, di mettere al bando a partire dal 2035 le vetture alimentate con carburanti fossili, a vantaggio di quelle con i motori elettrici.
È fin troppo evidente che l’emergenza ambientale richieda risposte in tempi quantomeno ragionevoli, ma, una volta stabilita la diagnosi resta da decidere la terapia da adottare. E quella dello stop ai motori endotermici non sembra la terapia migliore, almeno al momento.
Parliamoci chiaro, la stragrande maggioranza di emissioni di CO2 (oltre il 60%) è un gentile «omaggio» di Paesi come Cina a India, per cui il beneficio del divieto imposto dalla Ue sarebbe minimo. Per contro, non è difficile ipotizzare il tracollo dell’industria dell’automotive, una delle eccellenze in Italia e in Europa, ben prima della fatidica data del 2035: già da qualche anno prima, infatti, nessuno comprerebbe più un’auto nuova sapendo che sarebbe destinata ben presto a valere zero. Un tracollo che colpirebbe non solo le grandi industrie, ma anche la miriade di aziende che forniscono loro la componentistica.
Il tutto per adottare una scelta che, al di là della scarsa praticità di gestione, non è così ecologica come si vorrebbe fare credere. Il tempo di ricarica delle batterie è ancora troppo lungo, oltre che costoso: per andare da Bari a Milano bisogna mettere nel conto diverse soste da almeno un’ora ciascuna. Un amico che ha speso una vita nel mondo dell’automotive mi fece questo esempio: se 250 milanesi decidessero di trascorrere il week end a Portofino e scegliessero di andarci con un’auto elettrica, quanti giorni dovrebbero attendere per ricaricare le batterie e poter tornare a casa? Si aggiunga poi che chi si avvale dei servigi di un autista o dispone di un garage privato può evitarsi una così lunga perdita di tempo per ricaricare le batterie. Cosa che certo non può fare chi «ruba» 5 minuti alla sua giornata lavorativa per fare il pieno a un distributore self service.
Quanto poi al vantaggio ecologico, c’è da osservare che se da un lato queste vetture non consumano carburanti fossili e non emettono CO2, dall’altro l’energia elettrica non è prodotta se non in minima parte da fonti rinnovabili, ma da centrali alimentate a petrolio. La realizzazione di queste batterie richiede poi l’utilizzo di minerali come il silicio o il litio, la cui estrazione non è ecologicamente parlando «indolore» ed è stata condannata come saccheggio dell’Africa da Papa Francesco, per non parlare dello smaltimento delle stesse, problema di non facile soluzione.
E non è tutto: il 70% delle batterie è prodotto dalla Cina comunista e, dopo lo scherzetto di Putin su gas e petrolio, sarebbe da folli legarci mani e piedi a un altro regime dittatoriale, che peraltro sogna di replicare a Taiwan l’«operazione speciale» fatta un anno fa da Mosca in Ucraina… Ecco quindi che, dal momento che il destino dei motori endotermici è segnato, bisogna rimodulare i tempi di transizione e la gestione degli stessi. Non si può, insomma, procedere con odiose imposizioni: meglio attendere che la tecnologia renda più conveniente e di facile gestione l’alternativa al petrolio e, nel frattempo invogliare e non costringere al cambiamento gli automobilisti, magari puntando al momento di più sulle vetture ibride, che almeno possono ridurre – e molto – le emissioni di C02 nei centri abitati. D’altronde, sarebbe un pericoloso salto nel passato fare tornare l’auto un privilegio per pochi ricchi, dopo che la motorizzazione di massa è stato uno degli elementi che hanno caratterizzato il dopoguerra. E poi sarebbe un dolore scoprire un giorno che contro i motori Euro6 erano stati schierati trolley pieni di soldi, magari con la marmitta… catalitica!!!