I distributori chiudono per 48 ore, il governo non è riuscito ad evitare lo sciopero, e sui social impazzano i video dei politici che promettevano la cancellazione delle accise.
Per capire come si è giunti a questo punto bisogna tuttavia partire da più lontano. Il prezzo medio del diesel è in ascesa da tre anni, da quando nella primavera del 2020, causa lockdown, i prezzi alla pompa sono crollati e un litro di gasolio costava 1,2 euro. Questo spiega che una delle componenti fondamentali che determina il prezzo finale del carburante è, comunque, la domanda. Gli economisti dicono che questa è anelastica, cioè difficilmente comprimibile, tuttavia, negli ultimi tre anni c’è stata prima la riduzione dei consumi dovuta alla pandemia, quindi la ripresa degli stessi del 2022, quando il nostro Paese ha registrato un salto in avanti del PIL che non si vedeva dai tempi del boom. Il prezzo dei combustibili fossili è schizzato in alto, come un razzo, a causa anche della guerra in Ucraina.
Quando il prezzo medio del diesel, che è divenuto il combustibile più caro, proprio perché è il più richiesto, ha raggiunto i 2 euro al litro al self service, il governo Draghi ha introdotto uno sconto sulla componente fiscale del prezzo, le famose «accise», per contenere gli effetti inflattivi dell’aumento e non interrompere la ripresa economica del Paese. Ridurre un’imposta al consumo diminuisce però le entrate dello Stato e lo sconto sulle accise è costato in sei mesi, nel 2022, circa 6 miliardi di euro.
Ha fatto bene il governo Meloni a ridurre e poi eliminare lo sconto che sarebbe costato circa 1,8 miliardi per altri tre mesi? Probabilmente sì, perché come abbiamo dimostrato l’anno scorso in un intervento sulla «Gazzetta del Mezzogiorno», quando le accise vengono aumentate o ridotte il mercato tende a «mangiarsi» tali azioni e annullare l’effetto della manovra fiscale.
Con la decisione del governo il prezzo è salito, le opposizioni hanno attaccato il governo che aveva fatto largamente uso elettorale del tema-accise, ma ha avuto tutto il diritto di destinare i maggiori introiti fiscali in aiuti di altro tipo. Pur sapendo che l’aumento dei prezzi dei carburanti avrà un impatto negativo sul potere d’acquisto delle famiglie, soprattutto di quelle più povere. Secondo i dati Istat si stima che una famiglia di quattro persone abbia speso in più, nel 2022, 335 euro per i carburanti e 27 per i trasporti.
Provvedimenti come quelli di riduzione di uno sconto fiscale vanno tuttavia preparati e affrontati con limpidezza. L’aumento dei prezzi finali è stato invece attribuito da più parti alla «speculazione» dei rivenditori, alludendo addirittura ad un possibile cartello (cioè accordo fraudolento) da parte delle compagnie. Naturalmente, se ci sono truffe queste vanno perseguite: ma in un regime di mercato libero, come quello dei carburanti, ognuno può offrire il prezzo che vuole. È bizzarro che un governo che si definisce conservatore, e dunque fedele al libero mercato, sia caduto in simile retorica statalista.
L’obbligo per i distributori di esporre il prezzo medio del carburante è un altro provvedimento-specchietto, che non fa che moltiplicare gli adempimenti dei commercianti, quindi gli obblighi di controllo da parte delle forze dell’ordine ecc.
Tutto il contrario della «semplificazione normativa» che è sempre stata propugnata dalle forze oggi al governo. Peraltro, il sistema della comunicazione dei prezzi al Ministero è già in vigore da anni ed è sufficiente accertarsi che i distributori forniscano i dati regolarmente e con precisione. La pubblicità dei prezzi e l’informazione sono importanti, ma alla fine ciò che conta è la scelta del consumatore e, soprattutto, porre il consumatore in condizione di scegliere. Ricordate quando il ministro Bersani fece mettere i cartelli con il prezzo esposto dei distributori in autostrada? Si disse che questa misura avrebbe abbassato il prezzo esoso delle pompe agli autogrill, e invece non è successo.
C’è in realtà molto da fare, ma seriamente, in tema di educazione al consumo e di razionalizzazione delle reti di vendita. Come dimostra un recente studio dell’Università di Bari è determinante la presenza di distributori «bianchi», cioè indipendenti, in ambito urbano e di distributori nei pressi dei grandi centri di commerciali.
Soprattutto però, come è previsto dal PNRR, è essenziale sviluppare e migliorare il servizio di trasporto pubblico locale e ferroviario, dandogli efficienza, mezzi non inquinanti, un inferiore costo sociale complessivo della mobilità.
Basta con la retorica semplicistica a proposito delle accise. Come è stato recentemente proposto in forma semi-seria, il governo non le chiami più in questo modo ma «tassa sul carbonio». Così tutti ci ricorderemo che il futuro del pianeta dipende anche da quanti combustibili fossili consumiamo. E magari, alla prossima campagna elettorale, ci saranno risparmiate i video e le promesse demagogiche di cancellazione delle accise.