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La politica da bar dello sport in televisione

La politica da bar dello sport in televisione

 
Pino Donghi

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Pino Donghi

televisione

Tutto somiglia al vuoto dei talk show dedicati al calcio infarciti di luoghi comuni

Domenica 15 Gennaio 2023, 13:28

13:32

W Piva, una parodia del mondo del calcio, è uno dei primi racconti di Stefano Benni. Confluito in seguito nella raccolta Bar sport, lo lessi per la prima volta su un periodico satirico dal titolo «Il Mago»:lo avrebbero diretto anche Fruttero e Lucentini, anni ‘70, roba da archeologia editoriale. Il ragazzino che tirava pedate nel campetto dell’oratorio, colpendo il muro della chiesa e facendo ribaltare l’altare, non nascondeva nel nome il riferimento caricaturale a Gigi Riva, il bomber della mia gioventù. C’era anche un allenatore di origine sud americana, la cui caratteristica era di rispondere a chiunque, qualsiasi fosse la domanda, «la bala es tonda»: un’ovvietà, tanto vera quanto poco o nulla significativa.

Da quegli anni moltissimo è cambiato nel calcio, come nella società, e magari proprio da quel 1970 a Città del Messico, dove Gigi Riva, Sandro Mazzola, e per 6 minuti anche Gianni Rivera, si dovettero inchinare allo strapotere verdeoro impersonato da Edson Arantes do Nascimento, il Pelè di cui, da giorni, si piange la perdita.

Molto è cambiato, eppure, a seguire le tante trasmissioni dedicate al calcio, altrettanto è rimasto, insieme a moltissimi luoghi comuni: gira che ti rigira, è una legge della fisica, la palla sempre tonda è.

Il calcio l’ho sempre amato, il gioco mi appassiona, e pur non essendo un tifoso, seguo avido moltissime trasmissioni che commentano tutto il commentabile. Sovente trovandomi a rispondere all’ironia divertita di mia moglie, «…ma cos’è che segui con così tanto interesse? Ma cosa stanno dicendo?». La replica è laconica: «Niente!».

La bala es tonda. Si può infinitamente discutere sul nulla, o quasi? In realtà, si parla molto di quello che non si dice perché - si dice - che non si può dire. Un esempio? Qualcuno chiede all’allenatore della prossima sfida con l’ultima in classifica, la risposta dovrebbe essere: «Abbiamo più di cinquanta punti di differenza, con noi giocano tre campioni del mondo e un pallone d’oro, il monte ingaggi non e nemmeno comparabile, fin qui abbiamo fatto 82 goal e ne abbiamo subiti 17, loro ne hanno subiti 71 e realizzati solo 11… non possiamo che vincere». Dovrebbe! La risposta che ascolteremo, invece, è una variante di: «È una partita difficile, loro giocano molto bene (per questo sono ultimi!) sono ben organizzati in campo, hanno qualità e anche gamba...».

Bah! Altra partita, un giocatore manda platealmente a quel paese il Mister che lo ha appena sostituito? Cosa è successo? «Non mi sono accorto, non ho visto le immagini, comunque ogni tanto succede… e caso mai sono cose di cui si parla nello spogliatoio».

Perché? Perché non davanti ai microfoni? Cosa impedisce di dire le cose come stanno, come si sono viste in Tv, com’è abbastanza ovvio che stiano? Come meravigliarsi se poi, come è capitato con il Mourinho allenatore dell’Inter quando strillò chiaro e forte che non prendeva lezione da chi nella vita professionale aveva vinto «zero tituli», la dichiarazione «esplode come una bomba»? Si tratta di un grande comunicatore o di uno che magari, ogni tanto, dice quello che pensa invece di lasciarlo intendere?

Su queste pagine ho già commentato come in Italia il discorso politico si appoggi, almeno a far data dalla «discesa in campo» di Silvio Berlusconi, su quello calcistico, avendo trasformato quelli che erano i militanti in tifosi. All’apertura delle Camere, in diretta Tv, il Cavaliere ha mandato a farsi benedire l’aspirante e poi eletto Presidente del Senato. Morale: «Scaramucce, normale dialettica parlamentare!». Ma dai! È sempre tempo, per qualcuno, di «fibrillazioni», di «franchi scambi di vedute», di «parole interpretate fuori contesto». È vero, una reticenza fatta di politichese contraddistingueva anche la Prima Repubblica. Sicché, non casualmente, Sandro Pertini e, appena dopo, Francesco Cossiga, marcarono un’evidente differenza: il primo conquistando gli italiani per la sua franchezza, il secondo sconcertandoli con le sue picconate.

Non a caso, a marcare il passaggio tra la seconda e la terza, è stato il «vaffa» di Beppe Grillo: in mezzo, al più, qualche parabola bersaniana.

Viviamo, è vero, in un mondo immerso nella comunicazione, ma quella che realmente lascia il segno è merce rarissima: da una parte la cacofonia social, dove spesso si spaccia l’inemendabile cafonaggine per schiettezza, dall’altra tutti i non detti, i rimandi, le ellissi, il parlare intorno a ciò che non si dice e con il quale, invece «ci si confronta nello spogliatoio». La sincerità è solo per pochi ammessi, per il resto ovvietà, qualche volta condivisibili ma comunque insignificanti.

Forse, rispondendo a mia moglie, seguo le trasmissioni sul calcio per evitare la frustrazione dei talk-show politici: niente per niente, meglio convenire rassegnati che la bala es tonda!

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