Alfredo Cospito, anarchico insurrezionalista internato nel carcere di Sassari per reati di terrorismo, è oggi a rischio della vita perché rifiuta il cibo dallo scorso 19 ottobre (siamo a ottanta continuativi giorni di digiuno) per protesta contro il regime di detenzione speciale cui lo Stato italiano lo costringe a norma dell’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Questa drammatica vicenda umana apre plurimi interrogativi sulla compatibilità del regime carcerario speciale cui è sottoposto Alfredo Cospito con i principi dello Stato di diritto dettati dalla Carta Costituzionale.
L’art. 41 bis prevede che il Ministro della Giustizia (organo del potere esecutivo) possa sospendere per la durata di quattro anni le ordinarie regole di trattamento penitenziario (materia quest’ultima di competenza del potere giudiziario) nei confronti di detenuti per reati di terrorismo, di eversione dell’ordine democratico o di criminalità organizzata quando vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di permanenti elementi di collegamento tra la persona ristretta e l’organizzazione di sua appartenenza.
Tale norma consente dunque in casi eccezionali lo sconfinamento del potere esecutivo nelle attribuzioni tipiche del potere giudiziario, come accade nei sistemi autoritari e antidemocratici, ciò che lascia emergere, nel metodo, primi rilevanti profili di dubbia sua legittimità per lesione del principio di separazione dei poteri che costituisce l’architrave dello Stato di diritto.
Nel merito, la forma di restrizione della libertà personale prevista dall’art. 41 bis consiste nel fatto che ogni giorno, e per quattro ininterrotti anni, il detenuto in regime speciale è costretto a vivere 22 ore in solitudine all’interno della sua cella di isolamento. Il regime speciale inibisce infatti al detenuto ogni contatto sociale che non sia quello di due ore di permanenza all’aperto con non più di tre ristretti assoggettati allo stesso regime detentivo e di un solo colloquio ogni mese con familiari in locali che impediscano il passaggio di oggetti (il detenuto non può disporre di oggetti in cella e non può avere contatti fisici neppure con il coniuge o con i figli). Al detenuto è inibito di esprimere opinioni da comunicare all’esterno e di intrattenere corrispondenza senza essere sottoposto a censura.
Questo regime detentivo, come riportato anche di recente da Luigi Manconi su «La Repubblica» del 15.11.2022, determina gravi danni alla salute fisica e psichica del detenuto perché lo depriva dell’essenziale percezione sensoriale annientando il naturale bisogno umano del contatto sociale.
La vicenda Cospito assume marcati connotati politici comparabili a quelli vissuti in Gran Bretagna con le remote non violente proteste di Bobby Sands, militante dell’Irish Repubblican Army, morto il 5 maggio 1981 nel carcere nordirlandese di Long Kesh dopo 66 giorni di digiuno praticato, tra l’altro, contro le direttive dell’autorità inglese che gli impedivano di intrattenere corrispondenza con l’esterno e che gli imponevano di indossare le divise da detenuto. In quel caso, dopo la morte per digiuno di altri 9 militanti IRA reclusi in istituti penitenziari, il Governo britannico riformò l’ordinamento carcerario accogliendo molteplici richieste dei detenuti politici.
Sia chiaro, il movimento anarchico insurrezionalista del Cospito, per le sue dimensioni e per il profilo politico del suo leader, non è minimamente paragonabile all’IRA degli anni ’70, né tantomeno alla Rote Armee Fraktion cui apparteneva Holger Meins, militante morto nelle carceri tedesche il 9 novembre 1974, dopo molte settimane di digiuno, quando era arrivato a pesare 45 chili.
I fatti per i quali Alfredo Cospito è ristretto in carcere sono però oggettivamente collegati ai suoi ideali politici che contemplano la lotta armata: egli risulta coinvolto nei procedimenti penali che riguardano il ferimento nel 2012 con colpi d’arma da fuoco del dirigente Ansaldo Roberto Adinolfi, l’invio di pacchi incendiari senza conseguenze a due rappresentanti del sindacato CGIL (Cofferati) e del PD (Chiamparino), l’attentato nel 2006 con due pacchi bomba a contenuto esplosivo nei pressi della Scuola Allievi Carabinieri di Fossano senza morti né feriti.
Le accuse e il trattamento carcerario a lui riservato vanno separati in ossequio ai valori costituzionali che vincolano i pubblici poteri al rispetto della dignità umana anche nei confronti di coloro che si siano resi responsabili di gravi crimini. Separando i fatti per i quali Alfredo Cospito è detenuto dalla questione della legittimità del trattamento carcerario che gli viene imposto, si fa chiarezza sull’urgenza dell’abrogazione dell’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario ove si condivida il principio che ad un essere umano non può essere imposta dallo Stato la deprivazione sensoriale nelle mura carcerarie. La protesta non violenta che si leva dal carcere di Sassari non può dunque lasciarci indifferenti, qualunque sia il reato di cui si è macchiato Alfredo Cospito, perché, come detto in premessa, questa vicenda ci interroga sulla permanenza in Italia dello Stato di diritto nelle carceri, luoghi strategici, come gli ospedali, per la verifica della salute democratica di un Paese.
Deve dirsi con chiarezza che a qualunque detenuto vanno applicati i principi fondamentali della nostra carta costituzionale, la quale (art. 27 comma 3) non consente che la reclusione in carcere possa trasformarsi in una forma di tortura. Detto altrimenti, lo Stato italiano non può legalmente trasformarsi in Erinni vendicativa perché in tal modo nega a sé stesso il ruolo di garante dei diritti umani che la Costituzione imperativamente gli attribuisce.