Inizia oggi la collaborazione con la Gazzetta di Marcello Foa, giornalista, saggista e già presidente della Rai dal 2018 al 2021. Il suo ultimo libro è «Il Sistema (in)visibile» (Guerini e associati, 2022)
All’origine del malessere politico che attanaglia la politica italiana c’è un grande equivoco. A sinistra, il PD si dice liberale, Calenda e Renzi pure, la Bonino sicuramente. A destra, Berlusconi non ha mai smesso di predicare una grande rivoluzione liberale, mentre la Lega e Fratelli d’Italia si sono spostate su posizioni moderate. Ma sono tutti davvero liberali? La risposta è no, perché dopo il crollo del Muro di Berlino si è generato un gigantesco equivoco. Con l’avvento della globalizzazione liberalismo è diventato sinonimo di liberismo perpetrando, in termini filosofici, un vero e proprio delitto: perché il liberismo è di fatto una dottrina economica che per sua natura è utilitaristica, si propone di ridurre ai minimi termini il ruolo delle Stato, secondo certi pensatori addirittura azzerandolo, e massimizza la ricerca del profitto economico ovviamente a vantaggio dei privati, confidando nella capacità del mercato di autoregolarsi.
Il liberalismo classico, invece, non è meramente economico ma ha una sua dimensione spirituale, esistenziale, in certi autori addirittura metafisica. Pone l’individuo al centro della propria riflessione ma ritenendolo parte di una comunità e di un processo comunque in divenire, caratterizzato dall’esercizio del dubbio e di continuo perfezionamento interiore. Anche il liberale classico diffida di uno Stato onnisciente, oppressivo ed esalta l’intraprendenza del singolo, anche economica, ma come componente di un approccio più ampio e alto.
L’epoca in cui viviamo da ormai trent’anni ha visto il prevalere di una sola concezione, quella liberista e questa è una delle ragioni della crisi che attanaglia le società e gli individui. Perché l’homo è senza dubbio oeconomicus, ma non solo. E perché la conversione repentina della sinistra non è stata accompagnata da un processo di elaborazione intellettuale e filosofica, ma da una conversione dei fini; il che si è tradotto in una paradossale contaminazione: il massimalismo e la tendenza all’omologazione tipica del marxismo sono stati messi al servizio della nuova «ideologia» - il liberismo, appunto - ignorando le virtù più alte del liberalismo e anche il dibattito che ha animato i pensatori liberali dalla fine del Settecento fino al 1990.
Un dibattito che Corrado Ocone propone con maestria nel suo ultimo saggio Il non detto della libertà (Rubbettino editore), ricordando come John Stuart Mill ritenesse che il nemico della libertà fosse la «tirannia della maggioranza» e individuando nell’omologazione delle società occidentali una delle ragioni della loro decadenza. Mill ammoniva che «l’Europa sta avanzando risolutamente verso l’ideale cinese di rendere simili tutte le persone». Parole scritte nel 1859 con straordinaria preveggenza. E che si ricollegano a Tocqueville e che riecheggiano nell’ultimo grande politico autenticamente liberale del Novecento, Raymond Aron, che riteneva a sua volta come il conformismo, l’appiattimento e il dogmatismo rappresentassero le peggiori insidie alla libertà e al liberalismo stesso. Ma il mondo in cui viviamo è la trasmutazione dei loro timori. Il dibattito politico è sterile, superficiale, strumentale e, soprattutto, sui grandi temi fondamentali della nostra esistenza, massimalista e intollerante fino all’integralismo. Non sono più ammessi né il dialogo, né il confronto e chi osa dissentire o anche solo riflettere viene emarginato e bollato come eretico. Un atteggiamento incoraggiato dal mondo culturale, che è prevalentemente di sinistra, e dai partiti «progressisti», che non hanno ancora capito cosa significa essere davvero liberali. Ma il problema si pone anche a destra, perché quei partiti non hanno saputo mantenere la rotta, non hanno riconquistato la guida culturale, smarrendo la profondità del pensiero liberale e subendo l’agenda stabilita dal matrimonio tra globalisti e post marxisti che si sublima nel vincolo di un liberismo sterile e dogmatico.
Ci troviamo così in una società in cui il liberalismo è diventato un feticcio, mentre dovrebbe rappresentare la soluzione per una società che anela al Bene Comune tramite l’elevazione, la continua crescita dell’Individuo. E che vede nel confronto con chi pensa in modo diverso non una minaccia, ma la salvezza.