Nella vita precedente a quella di Guardasigilli che le ha permesso, tra le altre cose, di dare il nome ad una profonda e discussa riforma, la professoressa Marta Cartabia è stata giudice costituzionale e presidente della Consulta, occupandosi di vicende di assoluta rilevanza. Una fra tutte - che ha nei principi giuridici richiamati molte somiglianze con il contenzioso sui lavori per lo spostamento del nodo ferroviario di Bari - quella dell’Ilva di Taranto.
Sottoposto a sequestro il 26 luglio del 2012 perché sospettato di essere fonte di malattia e morte per operai e cittadini, lo stabilimento siderurgico di Taranto non ha in realtà mai smesso di sfornare acciaio, grazie a provvedimenti legislativi ad hoc. Nell’immediatezza del sequestro, la Corte Costituzionale rigettò la questione di legittimità costituzionale proposta dalla Procura di Taranto, ritenendo che il legislatore avesse effettuato un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diritti meritevoli di tutela, sostenendo che la prosecuzione dell’attività d’impresa era condizionata all’osservanza di specifici limiti, disposti in provvedimenti amministrativi relativi all’autorizzazione integrata ambientale, e assistita dalla garanzia di una specifica disciplina di controlli e sanzionatoria. I lavori di messa a norma dell’Ilva erano in corso e dovevano essere terminati entro il 2015 e la Consulta ritenne insomma di far proseguire l’attività dell’acciaieria ritenendo eccezionalmente comprimibile il diritto alla salute, costituzionalmente tutelato. La stessa Consulta, però, con una sentenza del 2018 - Cartabia relatrice - cambiò idea. Perché, premesso che «non può infatti ritenersi astrattamente precluso al legislatore di intervenire per salvaguardare la continuità produttiva - scrisse la Cartabia - in settori strategici per l’economia nazionale e per garantire i correlati livelli di occupazione, prevedendo che sequestri preventivi disposti dall’autorità giudiziaria nel corso di processi penali non impediscano la prosecuzione dell’attività d’impresa; ma ciò può farsi solo attraverso un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco», nel caso dell’Ilva «il legislatore non ha rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita».
Bilanciare diritto al lavoro (e all’attività di impresa) con quello alla vita, insomma, si può e si deve come deve essere possibile - nel caso del nodo ferroviario di Bari - bilanciare il diritto alla mobilità e alla fruizione delle aree ora occupate nel centro del capoluogo pugliese dai binari a quello della proprietà privata (e più in generale dell’ambiente) richiamato dai cittadini ricorrenti. Come? Lo dice sempre la Consulta: «Il bilanciamento deve essere condotto senza consentire l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Il bilanciamento deve, perciò, rispondere a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro, in modo che sia sempre garantita una tutela unitaria, sistemica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati».
Proporzionalità e ragionevolezza che finora spesso sono mancate nella querelle finita al vaglio dei giudici amministrativi, perché ai diritti - non contestati né contestabili - dei proprietari di un immobile distante una decina di metri dall’area dei lavori di vedersi riconosciuto un indennizzo, tramite esproprio, hanno cercato di aggiungersi in maniera strumentale il Comune di Noicattaro e delle associazioni private, al fine di valorizzare - in chiave anti-lavori - progetti di tutela ambientale ancora in itinere e per i quali, ha rilevato il Consiglio di Stato nell’ultima pronuncia - non parrebbero in vigore specifiche e comunque insuperabili misure di salvaguardia.
Un caso nel quale, insomma, alla tirannia dei diritti si è cercato di contrapporre la tirannia dei ricorsi.