Cosa dicono gli italiani tra di loro quando parlano di guerra? Al bar, a tavola, con gli amici. Ne parlano? Oppure sono indifferenti? A parte i sondaggi sul gradimento o no verso l’invio di armi all’Ucraina, cosa sappiamo in più dalle voci di strada? Non c’è giorno in cui non mi faccio queste domande. E per quanto queste voci non abbiano valore statistico né l’autorevolezza di un sondaggio, sono fotografie del paese. C’è una distanza siderale tra il giornalismo e le persone comuni. È sconvolgente come la guerra che Vladimir Putin ha scatenato contro l’Ucraina sia un fatto atroce raccontato solo con opinioni dall’alto. Nel 1959 Pier Paolo Pasolini al volante di una Fiat 1100 attraversò l’Italia da Ventimiglia a Palmi, per poi risalire da Taranto, la costa orientale, fino a Trieste. Era già Pasolini, affermato, conosciuto ma quando la rivista Successo gli commissionò una serie di reportages lungo la penisola, si buttò a capofitto nell’impresa. Era una fase storica importante, quella del boom economico e quindi piena di laceranti trasformazioni. Pasolini descrisse luoghi, ambienti, situazioni. Incontrò Moravia e Fellini ma fu sempre il «popolo» ad animare la sua curiosità. Nel 1962 tocca a Giorgio Bocca raccontare l’Italia, sempre rigorosamente attraversandola.
Economia, industria, consumi, costumi, abbigliamento, ideologie. Sì, era in atto la crescita economica, ma l’Italia era ancora molto povera. Incontra tantissime persone, nonostante abbia una preparazione sconfinata e un talento unico. «Io questo ho visto e questo ho capito».
Non so cosa ci sia successo, perché oggi l’opinione comune non è più importante, o comunque conta meno, perché attraversare l’Italia più e più volte per domandare agli italiani cosa pensano non ci sembri più necessaria. Sulla guerra questa assenza mi sembra assordante. Partiti, sindacati e associazioni non sono più un termometro sufficiente per capire da che parte pende la società. Poi c’è l’altra grande piaga: la divisione interna alla categoria giornalistica. Pensarla diversamente è un bene, ci mancherebbe. E non credo nemmeno all’imposizione del pensiero unico. Non siamo in Iran o in Russia. Chiunque può dire liberamente ciò che vuole. Accade però che intorno alla parola «pace», sempre in riferimento alla guerra in Ucraina e all’escalation nucleare che rischiamo, non si usino mezzi termini nei confronti di chi prova a porre il tema. Gli ultimi a cui sta accadendo in queste ore sono Riccardo Iacona e Massimo Giannini. Il primo domenica scorsa ha scritto: «Scendiamo in piazza per dire no all’escalation nucleare in #Ucraina, o alla terza guerra mondiale e fermiamo chi butta benzina sul fuoco (...) Io ci sono e credo che siamo in tanti a pensarla così». Il twitter di Iacona ha migliaia di reazioni, moltissime a favore, molte altre no. È la democrazia, bellezza. Mi lascia basita leggere però tra i commenti quelli di colleghi che da mesi sentono con forza la necessità di mettere all’angolo chiunque provi anche solo a fare ragionamenti sulla necessità di parlare di pace. Domenica il direttore de «La Stampa» ha scritto un editoriale dal titolo «Siamo tutti ucraini ma per la pace serve una via». Confesso che da quando avverto la necessità di pronunciare la parola «pace» ho più timore degli attacchi che potrebbero arrivare dai colleghi che dai lettori. C’è a sette mesi dall’esplosione del conflitto ancora la necessità di ribadire che il criminale è Putin. Che l’invasore è lui, perché altrimenti si viene sistematicamente fraintesi o manipolati. Non è un bel clima. Discutere di come si può costruire una via possibile per il cessate il fuoco non solo è necessario ma francamente indispensabile per far esplodere un confronto serio e da cui escano proposte di qualità.
E il punto non è nemmeno banalmente da ridurre al tema delle bollette. Io sono pronta a spegnere per sempre i riscaldamenti in nome della difesa della libertà e dei diritti, purché il costo della rivoluzione non sia scaricato sulle spalle di piccole e medie imprese, famiglie e poveri. L’opinione delle élites, anche giornalistiche, conta tanto quanto quella del popolo. Stanotte ho fatto un sogno: sono andata in edicola e ho trovato in prima pagina due reportage. Viaggio a puntate da Nord a Sud su cosa pensano gli Italiani della guerra in Ucraina? Hanno paura o coltivano indifferenza? E se sì perché? Uno era a firma Giorgio Bocca e l’altro di Pier Paolo Pasolini.