Si dice che il dialogo e il confronto siano il metodo della democrazia. Dallo scoppio della pandemia e ancor più in questa fase di guerra le cose sembrano andare diversamente. All’inizio dell’emergenza sanitaria dialogo e confronto non furono subito possibili. Comuni cittadini, medici, scienziati e giornalisti erano sulla stessa barca: il virus arrivato dalla Cina era un mistero per tutti. Pian piano le conoscenze crebbero e con esse il dibattito pubblico: sulle chiusure, sulle mascherine, sul distanziamento, sui vaccini, sulle seconde, terze o quarte dosi. Abbiamo assistito così a un confronto sempre più serrato, prima fra scienziati e poi allargato ai soliti presenzialisti dei media: giornalisti, opinionisti, politici, nullafacenti in cerca di un contratto, scalmanati dell’ultima ora. E qui si è verificato il primo cortocircuito: dialogo e confronto su questioni scientifiche non possono che avvenire tra addetti ai lavori.
Non ha senso invitare a un talk show un ospite di destra e uno di sinistra, come se il coronavirus fosse una consultazione elettorale. La scienza non è opinione, ma l’applicazione di un metodo valido a ogni latitudine e replicabile da altri. Insomma la scienza non è come la cucina dove ognuno può divertirsi a variare ingredienti e tempi di cottura. La scienza e oggettività e metodo. Il risultato è stata l’esplosione di «confronti», soprattutto in tv e online, fra scienziati e strani personaggi che avevano l’unico obiettivo di provocare, di strillare, di fare quella che a Napoli si chiama ammuina pur di far salire gli ascolti. Abbiamo appreso così di presunti «filosofi» che contestavano l’efficacia dei vaccini, come se virus, cellule e anticorpi avessero un orientamento politico o ideologico. A onor del vero va aperta una parentesi sulla facilità con cui vengono attribuite «patenti» che poi portano ad avere credibilità. Nella nostra Tv, dai canali Rai a Mediaset passando per tutti gli altri, ogni insegnante di filosofia viene promosso «filosofo». Lo stesso vale per qualsiasi prof di economia, che sarà sempre presentato come «economista». Il ridicolo si sfiora con la narrativa. Autori che hanno pubblicato un libercolo di qualche decina di pagine diventano «scrittori». Cioè sono sullo stesso piano di Manzoni o di Shakespeare. Chiusa la parentesi.
Ora se in ambito televisivo la presenza di provocatori, faziosi, rissaioli è una costante da anni e ha dato luogo alle pagine peggiori dell’intrattenimento italiano, negli ultimi mesi sono emerse queste nuove figure di «dotti patentati» che, sfoggiando le teorie più astruse e singolari sollevano polemiche, diventano un caso e, grazie al «copiacopia» fra le testate, s’impongono alla platea degli utenti. Gli esempi sono numerosi sin dalla fase vaccinale della pandemia e si è raggiunta un’alta «specializzazione» con la guerra in Ucraina. Se la maggioranza dei partecipanti al dibattito sostiene che Putin è l’aggressore e per questo va sanzionato, il dotto patentato afferma il contrario. Ma non con l’aria e il piglio dei tanti rissaioli mediatici, bensì con un’espressione mite e sottili riferimenti storici e politici. Allora ha ragione a sostenere le sue tesi? No, semplicemente applica un metodo collaudato nella creazione di fake news: consiste nel mescolare brandelli di verità con brandelli di falsità o, peggio ancora, verità con verità. L’importante è rendere verosimile ogni affermazione, meglio ancora se confortata da qualche citazione di personalità famose e apprezzate. I discorsi del Papa sono i più saccheggiati in tal senso e il povero Francesco è adattato per tutte le stagioni.
Il segreto per la riuscita dell’operazione sta nel nascondersi dietro principi incontestabili per gli avversari, come per esempio la libertà di pensiero, la libertà di ricerca, il diritto di parola e via dicendo. L’attentato al dialogo e al confronto, quelli veri, a questo punto è scattato. Tutti gli altri protagonisti del dibattito pubblico si sentono infatti provocati e da qualsiasi luogo si trovino avvertono la necessità di smentire, controbattere, confutare. Si dirà: benissimo, è la democrazia bellezza. Invece non è affatto così, anzi l’esatto contrario: la fine della democrazia e la dittatura di dotte fake news, perché è attorno a queste che si svilupperà il pubblico dibattito che poi condizionerà scelte importanti. È essenziale che ciascuno possa esprimere le sue idee, ma è altrettanto essenziale che si distinguano verità e menzogne, fatti e teorie, contesti da contesti. Va bene gli ascolti, va bene il protagonismo di tanti giornalisti, va pure bene che qualcuno cerchi visibilità, ma non può valere tutto. Altrimenti prendiamo la storia e i fatti e buttiamoli nel cestino. Viviamo in un ambiente in cui il chiasso di fondo – dai social alla pubblicità alla politica – rischia di sovrastare le parole più vere e autentiche, proviamo a non dare spago a tutte le fake news che circolano. Che la Terra fosse rotonda è chiaro da secoli ed è stata pure fotografata decenni fa dallo spazio, è inutile correre dietro ai terrapiattisti. È tempo sprecato.