Siccome egli è di buone letture, mi ha confessato che, quando al termine della giornata, ha finito di correggere alcuni compiti degli aspiranti magistrati, si sente come Thomas Penson de Quincey e la sua «Confessione di un Mangiatore d’Oppio». Solo che la sua «intossicazione» non è dovuta al laudano o al derivato del papavero bianco, come per lo scrittore inglese, ma ad una «overdose» di svarioni sintattici, di interpretazioni assai personali dei Codici e delle Pandette e, persino, ad una loro visione olistica e, non raramente, ad una concezione filosofica della legge. Così, i 29 componenti della Commissione giudicatrice, che al Ministero di Grazia e Giustizia, di via Arenula, a Roma, alle prese, in questi mesi, con gli elaborati dei circa 5.000 laureati in legge che si sono presentati per i 310 posti messi a concorso, per accedere ai ruoli della magistratura italiana, alla fine della giornata, si sentono intronati come se fossero appena usciti da una «fumeria d’oppio» di Shangai.
Non hanno neppure la voglia, i 21 consiglieri di Cassazione, i 5 docenti universitari e i 3 avvocati di lungo corso e di grande esperienza che compongono la Commissione, di scherzarci poi troppo su questi «florilegi» lessicali e procedurali che «allietano» le loro ore di lavoro e che, malgrado ogni buona intenzione, li costringono prendere le cesoie e a sfoltire a destra e a manca, fino a prevedere che non tutti i posti disponibili verranno occupati. Infatti, dei 5000 giovani che si sono seduti sui banchi, solo 3797 alla fine del tempo concesso, sono riusciti a consegnare i loro compiti. Se, tanto per fare un esempio, i commissari avevano ritenuto che «fioriero», invece di foriero, potesse essere stato un errore di distrazione, o persino un anacoluto, quando nel rigo successivo, si sono imbattuti nello stesso termine botanico, allora è apparso chiaro che per candidato la linguistica soffriva di una qualche grave forma di anossia. Ma la mannaia dei commissari non è mai calata per un qualche incidente sintattico, quanto per carenze intrinseche della conoscenza giuridica o per alcune sue davvero originali interpretazioni. Le tracce del concorso erano di natura penale e di natura civile.
A proposito del diritto civile, si proponeva questo trinomio: danno biologico, danno morale e personalizzazione del danno. Per un candidato, «la personalizzazione non costituisce l’erezione (sic!) di opposti stili di vita, quindi anche del danno». Altra perla sulla individuazione del «danno morale». E, qui, un altro candidato, ha scritto una pagina intera sul significato etico del termine «morale», da far invidia all’Etica Nicomachea di Aristotele o ai Minima Moralia di Theodor W. Adorno. Chiedendosi e chiedendo ai commissari, se non fosse vero che la morale sia assolutamente soggettiva, tanto che per qualcuno può essere morale, quello che qualche altro giudica immorale, e che, perciò, il giudice avrebbe dovuto districarsi tra i vari concetti di etica e, magari riferirsi al senso comune, prima di giudicare l’entità del danno morale. Un altro «centone» particolarmente originale a proposito del Diritto Penale. «In fin dei conti è la nostra stessa Costituzione che ci ricorda all’art. 27 che la responsabilità penale è personale.
E, tuttavia, il dubbio ci sovviene quando andiamo a leggere la maggior parte degli articoli del Codice Penale, in cui si ribadisce come viene punito, chiunque commetta un certo delitto, spersonalizzando, quindi, il tutto». Per qualche altro, poi, e sempre a proposito di Costituzione, «essa, la Costituzione è da considerarsi, figuriamoci se non lo fosse, una legge…» E questi esempi, sono una parte infinitesima del’oppio e del laudano che sono costretti a fumarsi i membri della commissione giudicante. Nessuna meraviglia se, perciò, la media di coloro che riescono a superare gli scritti è meno del sei per cento. Ed è quasi sicuro, perciò, che, con questo trend (andazzo), agli orali andranno circa 260 candidati, mentre i posti messi a concorso, erano 310.
Come mai, viene da chiedersi, questo «fioriero», di impreparazione? E quelle scuole di preparazione alla Pubblica Amministrazione, che da qualche tempo, sono «fiorite» come funghi, e che si propongono di portare i candidati ad entrare in Magistratura, ad un livello tale di preparazione, da fare loro superare ad occhi chiusi gli esami? Basta pagare cinque o seimila euro per un corso simil preparatorio, e, poi, se va male, la colpa è stata di quelli che non sono stati attenti alle lezioni.
Ora per il prossimo concorso in Magistratura del prossimo mese di luglio, hanno fatto domanda oltre quindicimila giovani laureati, con quel che segue di centinaia di migliaia di esborso in euro delle loro povere famiglie. Anche le Facoltà di Giurisprudenza, tranne pochissime, sono chiamate, tanto per restare in argomento, sul banco degli imputati. E non tanto e non solo per carenze didattiche, quanto per non valutare, anche per iscritto, la preparazione sintattica degli studenti. C’è, tuttavia, una nota positiva in questa sorta di «Antologia di Spoon River».
Quella, cioè, che i prossimi magistrati, saranno davvero ottimamente preparati. E ai giovani laureati in Giurisprudenza, che per entrare i Magistratura, si accingono a frequentare una scuola di preparazione alla Pubblica Amministrazione, un ammonimento di Catone, «Ne pudeat, quae nescieris, te velle doceri…», «non avere vergogna di pretendere che ti venga insegnato quello che non sai».