Quello che è successo in un paesino alle porte di Milano, oltre a essere l’ennesimo omicidio di una donna da parte di un uomo, pone un inquietante interrogativo. Chi è veramente l’autore del delitto? Davide Fontana, il reo confesso, è sempre stato considerato una persona tranquilla dai vicini di casa. Ma che cosa si nasconde dietro la sua personalità, che è sicuramente anomala, forse sdoppiata?
La sua calma esteriore aveva rassicurato la vittima, Carol Maltesi di 26 anni, madre di un figlio di sei anni, tanto da lasciargli le chiavi di casa. Evidentemente nel loro rapporto amoroso, o presunto tale, qualcosa deve essere andato storto. È probabile che il dipendente di banca abbia chiesto alla malcapitata una prestazione sessuale che gli è stata negata, oppure che abbia preteso di legarsi a lei, e che dietro il suo rifiuto abbia perso la testa e l’abbia eliminata, anzi massacrata, con delle martellate.
Si può giustificare questo orrendo gesto come un raptus, un reato d’impeto, oppure sembra l’azione di chi è affetto da una doppia personalità, che è venuta fuori in occasione del respingimento della donna a volersi legare a lui? Gli ingredienti di questo scempio da macellaio sono: pazienza e sangue freddo (tagliare il cadavere, occultarne i pezzi per mesi ed essersene andato in giro con nonchalance con l’auto dell’uccisa). Questa raccapricciante dinamica delittuosa non è la scena di un film giallo, una specie di pellicola sanguinolenta stile Tarantino, ma la tragica e orrenda realtà che si è consumata alle porte del capoluogo lombardo. Se la successione dello spietato crimine è stata ricostruita nella sua mostruosità, non è invece chiara la vera ragione, il movente, la scatola nera d’una simile condotta assassina. Un gran lavoro di ricerca e di tecnica aspetta i medici legali e gli investigatori.
Se rimane confermata la confessione e l’ipotesi che sia stato l’imperturbabile impiegato quarantatreenne a pianificare tutto nei minimi dettagli, senza lasciare nulla al caso, si deve pensare a motivazioni forti, da ricercare nella profondità della mente e nel vissuto dell’assassino. Il buon andamento quotidiano, l’inesistenza di squilibri relazionali all’interno dei rapporti di vicinato fanno «cadere dalle nuvole» i più. A questo punto c’è da chiedersi: è ipotizzabile che l’omicida, al di là delle parvenze, avesse una doppia vita, presentasse dei lati oscuri, sconosciuti, che nascondesse segreti inconfessabili?
Bisognerebbe scandagliare gli angoli bui della coscienza dove è difficile arrivare, perché l’oscurità interiore fa paura. Occorrerà indagare nella vita intima dell’assassino implacabile e percorrere i binari d’una possibile esistenza parallela, guardare meglio nella psiche dell’omicida per indirizzare i fari di luce là dove gli occhi della ragione possono scrutare meglio e più a fondo. Come i grandi attori riescono a calarsi bene nelle parti che interpretano senza sbavature recitative, così si deve ritenere (veramente?) che il nostro si sia calato nella parte di chi deve far credere a un rapporto normale di vicinato per poi uccidere con gelida e lucida determinazione, scatenatasi con una ferocia spietata, come un congegno fatto esplodere a comando, quando l’insopprimibile rabbia non poteva più essere contenuta nel suo animo vendicativo e malato, roso nel tempo dall’attesa di commettere finalmente il gesto delittuoso, come una perfetta calcolatrice. È questo l’uomo che si nasconde dietro l’esecrabile delitto?
In tutto questo tempo ha vissuto una doppia dimensione, mentendo su tutto e a tutti: su se stesso, sulle scelte, sulle abitudini e sui comportamenti, omettendo desideri e voglie. Una persona che si adeguava agli altri, che li assecondava per non scoprirsi, per interpretare nella realtà una finzione e non deludere le aspettative di tutti. Ma era amore quello che nutriva nei confronti della porno attrice, oppure era solo una perversa morbosità la sua? Evidentemente conduceva un’«altra vita», parallela a quella vera, nella quale si rifugiava e coltivava un mondo tutto suo, che difendeva per non essere scoperto; un luogo dell’anima in cui entrare quando voleva, dove occultare sentimenti innocui e desideri distorti e proibiti, alimentarsi psichicamente e uscire dalla zona d’ombra (la vita reale?).
Quante cose non si confidano a chi ci è affettivamente vicino, non perché non ci «si fida» dell’altro, ma semplicemente perché non ci si vuole «affidare» all’altro con l’intento di conservare una parte di noi inaccessibile. Forse l’uccisa non condivideva i sentimenti e i desideri di chi l’ha ammazzata. Non vedere e non accorgersi dell’altro è la cosa peggiore: cala un’agghiacciante incomunicabilità come una inesorabile mannaia. È accaduto tutto questo all’omicida di Rescaldina?