«Da tanto tempo mi annoio a guardare la televisione, e in famiglia, ognuno sembra essere isolato a giocherellare con il telefono. Non parliamo poi dei figli, che sembra non gli sia bastato stare mesi e mesi in Dad. Di questo passo forse preferisco andare a vivere da sola, e probabilmente nessuno se ne accorgerebbe. Siamo diventati tutti trasparenti. Mi sembra ieri che ero ancora ragazza e ci vedevamo al muretto per chiacchiere futili o molto sensate, o anche per fare niente, ma di persona… ora è come essere tutti divisi con rari sprazzi di realtà. Mi sbaglio, o quello che vedo è reale? Se è tutto vero stiamo per andare a sbattere contro un muro, aiuto!»
Annamaria
Purtroppo quello che vedi è reale, cara Annamaria. Ma non per questo il tuo allontanamento da casa passerebbe inosservato; piuttosto cominceresti a essere inseguita da messaggi WhatsApp dei tuoi familiari, gli stessi messaggi che attualmente loro destinano ad altre persone intanto tenendo gli occhi fissi sui vari schermi di tablet diversi, nel corso delle vostre serate… alienate. Sto scherzando, ma non troppo. Siamo tutti piuttosto implosi per eccesso di virtualità, non vi è ombra di dubbio che sia così. Disabituati a stare insieme, cioè a comunicare con gli occhi, con i gesti, con gli sguardi e i silenzi di cui si compone la vita vera, quella «di persona», come tu dici bene. «Con le mani»: non casuale e paradossale il successo di una bella canzone dell’ultimo Festival di San Remo. Paradossale, perché dei nostri scambi con gli altri tutto quanto è tattile, corporeo, materico e quindi reale, sembra ci sia stato scippato: portato via. Le cause le sappiamo - la pandemia e la conseguente paura dei contagi, che si è tradotta in una generalizzata paura degli altri nella loro fisica presenza. Ma anche, la parallela, concomitante e conseguente esplosione della virtualità, con tutte le distorsioni che essa comporta sul piano della comunicazione.
Eppure avrai notato anche tu come sono più stretti e emozionati certi abbracci che torniamo a scambiarci con le persone più care. E quanto, le rare volte in cui si riesce a evitare la ridda di messaggi, emoticon, zoom e le altre molte forme di comunicazione «mediata», riuscendo infine a stare insieme «in presenza», il tempo sia di nuovo denso, importante, nutriente. Quegli sprazzi di non trasparenza che ancora sopravvivono e tu vedi baluginare tra una virtualità e l’altra, sono quelli la realtà: quelli e nient’altro. Bisogna accorgersene e riposizionare le cose e le relazioni, le priorità e i valori. Chiedi ai tuoi familiari di restare una sera ogni tanto con telefoni e televisioni spenti. Invita amiche e amici a tornare a stare insieme senza uno scopo preciso: se non seduti su un muretto perché non è più l’età, almeno seduti intorno a un tavolo in pizzeria. Non dispiacerti se rifiutano o rimandano. Insisti. Magari non se ne accorgono, ma ne hanno bisogno quanto ne hai bisogno tu.
La nostra socialità agonizza, eppure sta chiedendo di ricominciare. In forme nuove perché nuovi e cambiati siamo tutti, trasformati da questi anni difficili. Ma ricominciare. A costo di passare per poveri ingenui passatisti, dobbiamo riprendere a tessere le fila dei nostri rapporti umani anchilosati. Ne va del nostro benessere psicofisico (per non usare la brutale espressione «la nostra salute mentale»). Se non andremo a schiantarci contro un muro di solitudine e indifferenza (e non succederà) è perché tutto della realtà, dai microavvenimenti delle nostre esistenze private ai grandi eventi della Storia, ci sta dicendo la stessa cosa. Che dobbiamo ricominciare dall’umano, dal nostro essere umani. Che vuol dire il nostro essere persone, capaci quindi di avere una vita personale, ovvero privata; ma non come adesso nel senso di «privata di» (di realtà, di contatto concreto, di vita sociale senza fini precisi e rigenerante nel suo stesso svolgersi), bensì privata perché nostra, da noi organizzata e gestita. Vita di persone in carne e ossa che scelgono di trascorrere parte del loro tempo con altre persone (care) in carne e ossa. Spiegalo un po’ ai tuoi figli e alla tua famiglia; confida loro con sincerità la tua grande preoccupazione, e poi se ti va raccontami come avranno reagito. Occhi negli occhi, «con le mani». Sbaglierò, ma sono quasi sicura che ti staranno a sentire: tra una videochiamata e una chat, snervati e alienati, ma si fermeranno un momento e ti staranno ad ascoltare.