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Sotto le bombe russe in Ucraina, la globalizzazione rischia di morire

 
Isidoro Davide Mortellaro

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Isidoro Davide Mortellaro

Un tank ucraino in movimento

Un tank ucraino in movimento

"La storia ogni volta ha ripreso a correre e a immergerci in nuove connessioni globali, impensabili fino al giorno prima"

Mercoledì 16 Marzo 2022, 16:31

Un interrogativo da giorni s’affaccia in titoli e lanci di giornali e TV: è finita la globalizzazione? La guerra all’Ucraina ha sancito la morte del mondo abitato finora? Russia fuori da Banca Mondiale e FMI? Dismetteremo magliette o smartphone «Made in China»? È a rischio il caffé? E la connessione Facebook? Magari non ci siamo ancora. Ma la benzina oltre i 2 euro (domani a 3?) e la penuria di grano o concimi fanno venire il sudore freddo o un languore allo stomaco: mancherà la pasta? E via a connessioni fino a ieri sconosciute tra i 4 cantoni del globo. Mangiamo canadese o ucraino e non ce ne eravamo mai accorti. Passi per il petrolio. Lo conosciamo da tempo. Mattei, poveretto, e l’Eni ci avevano svezzato per tempo. Ma le «terre rare»? Fino a ieri chi sapeva cosa fossero: adesso scopriamo che sono l’anima d’ogni diavoleria digitale. Senza di esse non si può nulla. Per caso la guerra sta ponendo fine a tutto questo? Davvero domani sarà altro da prima? Da tempo, l’interrogativo con le sue paure viene lanciato. In primis, vi fu il lampo dell’11 settembre. Quella luce sinistra aprì squarci e chiusure. Seguì la crisi del 2007-2008, col crollo di finanza e castelli di carta dei subprime. Nuove domande sorsero su un modello di vita senza confini, aperto al mondo. Vennero poi Trump e la Brexit con le loro chiusure sovraniste.
Ultima la pandemia. Lì il mondo ci è apparso dapprima assolutamente bloccato, chiuso a catenaccio. Ogni stato con le sue regole, abitudini, culture. Tutti chiusi in casa, magari sul balcone con l’inno nazionale. Ma poi? Poi ci siamo curati quasi tutti allo stesso modo: stessi farmaci, forniti dai soliti noti, nei canali distorti da diseguaglianze globali note da tempo. Tutti in casa. Ma via allo streaming di massa, con la TV-surrogato del cinema. All’improvviso ci siamo svegliati in case trasformate in hub di LAD e DAD (lavoro e didattica a distanza) senza più confini. Il telelavoro - materia fino ad allora per iniziati - è stato scoperto da tutti: basta con uffici sterminati e faraonici, meglio una direzione con segreteria e stanza per le riunioni. Gli altri? Tutti a casa. Risparmio: e non solo in riscaldamento, trasferte, mensa ecc. La storia ogni volta ha ripreso a correre e a immergerci in nuove connessioni globali, impensabili fino al giorno prima. Ma ora la guerra? Con il suo immenso, inaccettabile carico di morte e distruzione? È guerra tra Stati? Tra sistemi? O una planetaria guerra civile? Che in realtà mette a rischio la globalizzazione tutta e, in primis, chi l’ha dichiarata? In realtà, a morire definitivamente sotto queste bombe è una ideologia. Quella neoliberale soprattutto. Voleva la globalizzazione figlia di una ritirata: dello Stato a favore dell’impresa. La resistenza del globale ci rivela invece che dietro la globalizzazione c’era una mutazione epocale. Proprio della politica e dello Stato: sempre più sovranazionali, ma votati ora - proprio dal neoliberismo - a regolare, riavvolgere la vita di uomini e mercati in circuiti globali, aperti a concorrenze e metamorfosi figlie di un nuovo Faust planetario. E ad ammonirci a guardare meglio, ad aguzzare l’ingegno stanno proprio coloro che - secondo le prefiche del «bel mondo andato» - sarebbero i becchini della globalizzazione: Russia e Cina, in primis. La Russia vorrà ritornare indietro dal suo status di fornitrice globale di gas, petrolio e materie prime? Dopo le sanzioni odierne, indirizzate a farla recedere dalla guerra torcendole il braccio, vorrà inabissarsi dentro nuovi confini, magari ritoccati, imperiali, ma chiusi al mondo? Di che e come alimenterà l’economia futura? E la Cina, da tempo «world factory», con esportazioni oltre il 18% del suo PIL, ritornerà dietro la Muraglia o proverà ad aprire nuove «Vie della Seta»? Ad aiutarci nella risposta stanno forse gli stessi oligarchi russi, lo stesso Putin. Da tempo, nelle piazze di Russia si erigono statue a questo o quell’eroe del passato, nel mito dei fasti imperiali. Intanto ognuno prova a mettere al sicuro ricchezze: ovvero futuro. E dove? Ma lontano proprio dalla madre patria. Altrove, nel mondo grande e terribile. E lo stesso Putin non ha forse provveduto a riparare i familiari in Svizzera? Del resto, non è su questo grado di esposizione generale al mondo che provano a premere le sanzioni occidentali? Tempo fa, un grande scienziato italiano - Marcello Cini, ispiratore dell’Ape e l’architetto, libro contestatissimo - scandalizzò tanti con parole allora apparse assai singolari, riferite alle missioni Apollo e alle loro foto del pianeta: «La cosa più interessante che abbiamo visto sulla Luna è stata la Terra». Da allora, non abbiamo mai più smesso di scoprirla come la nostra casa reale.

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