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Il sogno dell’Europa vive o muore a Kiev. Il futuro che Putin nega

 
Oscar Iarussi

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Oscar Iarussi

Pace per Kiev Ucraina

Domenica 13 Marzo 2022, 12:39

Morire per Kiev? Non se ne parla nemmeno. Non siamo certo disposti a partire e a combattere per la libertà, come nel 1936 fecero migliaia di antifascisti delle brigate internazionali accorrendo in soccorso della Repubblica spagnola. Piuttosto, la guerra ci preoccupa per le conseguenze incombenti: il tabù delle armi atomiche è stato infranto e si discute «tranquillamente» di missili nucleari, mentre la penuria del gas russo e l’aumento del prezzo della benzina rendono più difficile far tornare i conti familiari depauperati dalla pandemia.

Dopo due anni di lutti e di ristrettezze, siamo di nuovo nell'abisso con le immagini delle fosse comuni e delle bombe sui bambini. Un gelido inverno. La prospettiva della primavera è da «economia di guerra», secondo quanto teme il presidente del Consiglio Mario Draghi, preoccupato che la crisi bellica blocchi la timida ripresa italiana. Noi pensiamo anche al torto che la Storia - imprevedibile e inarrestabile, come canta Francesco De Gregori - continua a fare ai giovani e agli adolescenti, ai nostri figli e nipoti. Nati nell'età del relativo benessere e della pace, ovvero nella parte fortunata del mondo, stanno crescendo con una percezione della realtà quale costante minaccia (il terrorismo islamista, il virus, la guerra), quando invece gli anni verdi dovrebbero essere scanditi dalla promessa di incontri, viaggi, baci.

Ma un’altra domanda aleggia in queste settimane e prende corpo nei rifugi sotterranei delle città ucraine che somigliano parecchio alle nostre, dietro l’incerto riparo dei cavalli di Frisia, nei palazzi sventrati dai colpi di mortaio, nelle palestre scolastiche trasformate in centri di addestramento paramilitare, nei luoghi sacri dell’Ortodossia orientale... Morire per l’Europa? Questa è la domanda. La risposta è sì. Gli studenti di Kiev, gli operai di Odessa, le madri di Mariupol sono pronti al sacrificio e lottano armi alla mano in nome dell’indipendenza di una nazione ricca di risorse e non ancora sviluppata quanto potrebbe, che ha cominciato a sentirsi europea - quale in effetti è - per identità culturale e per valori democratici, nonostante la corruzione dilagante, gli oligarchi dalle ricchezze inaudite e insomma la ferocia tipica del neocapitalismo post-sovietico. L’Ucraina perciò ambisce ad entrare nell'Unione Europea. Ecco il punto che non va giù a Vladimir Putin, il quale lo scorso 24 febbraio ha annunciato in Tv l'invasione parlando del bisogno di «demilitarizzare» e «de-nazificare» il grande paese confinante. Il presidente-satrapo vuole così far leva sull'orgoglio russo e delle minoranze russofile di alcune regioni ucraine da tempo contese, il Donbass, sicuro, e la Crimea dove si svolse la celebre Conferenza di Jalta in cui - amara ironia della Storia - Stalin, Roosevelt e Churchill nel febbraio 1945 definirono l’assetto dell’Europa post-nazista. Putin sta dicendo: noi abbiamo fermato Hitler durante la Seconda guerra mondiale, noi fermeremo la Nato e l’Occidente. È la stessa linea del patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, che ha usato toni persino più accesi sulla necessità di difendere la cultura e la religione d’Oriente dalla corruzione dei costumi liberali e dalle «parate gay».

«Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello. Chi non lo rimpiange è senza cuore». La frase dello stesso Putin è posta in esergo di Limonov, un magnifico libro di Emmanuel Carrère che consigliamo di leggere (Adelphi 2012, traduzione di Francesco Bergamasco). È la nostalgia della perduta innocenza comunista a muovere l’ex agente segreto del Kgb Vladimir Putin, come per certi versi mosse un suo antagonista, appunto Eduard Limonov, personaggio realmente esistito e scomparso nel 2020, cresciuto in Ucraina e lungo i confini ribollenti dell’ineffabile anima russa tra nazionalismo, bolscevismo e vulcaniche esperienze da giramondo.

Ma gli ucraini non sono nazisti, sebbene dei gruppi militarizzati di estrema destra siano storicamente attivi nel Paese. Gli ucraini sono oggi l’espressione di un nazionalismo internazionalista: una contraddizione in termini soltanto apparente se consideriamo che in molti passaggi storici lo spirito di una comunità è stato definito o forgiato dalla nostalgia del futuro. L’Italia nasce nell'esilio dei patrioti risorgimentali come Mazzini, l’Europa unita sorge nell'isoletta di Ventotene grazie al manifesto di alcuni degli antifascisti che vi erano confinati, Rossi e Spinelli, Colorni e la Hirschmann. E da decenni ormai l’idea della Unione Europea, nonostante le paure dei governi e dei cittadini, vibra soprattutto nel Mediterraneo o lungo le frontiere clandestine dei profughi in fuga dalla miseria e dalle guerre. Oggi l’Europa vive o muore nell’azzurro e nel giallo, cielo e grano nella bandiera di Kiev. Per quel che conta, il cuore è con loro, con gli aggrediti, con i resistenti.

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