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È il modello Europa a terrorizzare il governo di Mosca

 
Ennio Triggiani

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Ennio Triggiani

E' modello Europa a terrorizzare il governo di Mosca

Il Cremlino

Cosa c’è dietro il conflitto Russia-Ucraina

Mercoledì 09 Marzo 2022, 13:37

Una delle riflessioni maggiori indotte dalla crisi ucraina, gravemente in atto, riguarda evidentemente la sovranità di uno Stato, con un governo democraticamente legittimato da un ampio consenso popolare, «violentata» da un’intollerabile invasione militare. Nel contempo e non casualmente, va sottolineato che tale aggressione è effettuata da un governo liberticida, identificato in una persona al potere da più di 20 anni e che si è assicurato di rimanervi fino al 2036.

Pertanto, le discussioni su torti subiti negli scorsi anni dalla Russia per responsabilità della Nato e dell’Occidente oggi perdono ogni credibilità. Infatti, è in atto una «aggressione» all’intero edificio normativo costruito nel secondo dopoguerra attraverso la Carta delle Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali come OCSE e Consiglio d’Europa e gli innumerevoli altri accordi internazionali stipulati sul fondamento dei principi fissati dalla Carta.

Ma il ragionamento da fare è anche di natura squisitamente politica. Ogni popolo ha diritto all’autodeterminazione il che significa non accettare di essere governato da altre genti diverse da sé. Ma ciò vuole anche dire che non è possibile l’esistenza di forme di governo «sovranazionale» nelle quali più popoli affidano gli strumenti decisionali a Enti e istituzioni che vanno al di là dei singoli Stati nazionali? È questo il nucleo del dibattito sul contrasto fra sovranismo e, nel nostro Continente, europeismo.
Infatti, dovremmo chiederci come mai il popolo ucraino, che sta dando grande compattezza e solidità nazionali come evidenziate dall’imprevista resistenza all’invasione, auspichi fortemente il proprio ingresso nell’Unione europea pur sapendo che, quando l’adesione si verificasse, questa comporterebbe importanti trasferimenti di poteri sovrani alle istituzioni «comunitarie». La risposta è semplice. Il sovranismo nazionalpopulista ipotizza uno Stato chiuso in se stesso che si illude di governare in maniera assoluta ma che invece diviene progressivamente privo di autonomia sostanziale in quanto molte delle decisioni fondamentali vengono assunte all’esterno nonché da poteri estranei e spesso sconosciuti alle istituzioni nazionali. In altri termini, il nodo è dato dalla effettiva capacità di governo di una comunità, che cessa quando il relativo potere smette di essere effettivo. Gli Stati - attraversati dal potere globale della finanza, delle banche, dei media, della criminalità, della mafia, del terrorismo - non sono comunque in grado da soli di affrontare problematiche per loro natura sovranazionali (si pensi all’ambiente, all’inquinamento, ai flussi migratori, alle piattaforme di rete e, come stiamo vedendo, alle pandemie).

Non bisogna quindi confondere indipendenza e sovranità: cedere quote della prima può aiutare a difendere la seconda se questa si fonda su principi democratici. L’Unione europea non è un nemico che limita l’indipendenza degli Stati nazionali ma una realtà che, al contrario, ne rafforza la sovranità; questa, in quanto condivisa, è sempre preferibile ad una che sia invece isolata e sempre più indebolita. Il processo d’integrazione nasce proprio dalla matura consapevolezza che nella società contemporanea è necessario attrezzarsi in modo che l’esercizio di poteri democratici si svolga in un ambito territoriale più ampio e significativo.

Tornando alla crisi in atto, evidentemente per l’Ucraina è preferibile la sovranità condivisa dell’Unione europea che la sovranità dimezzata di un satellite della Russia. Putin non teme realmente di essere accerchiato dalla Nato (anche se l’Ucraina nella nuova Costituzione del 2019 aveva reso legittimo l’ingresso nella stessa) e di subire attacchi militari; questi presuppongono una volontà di guerra che è ben lontana dal carattere identitario della pace che contraddistingue l’Unione europea e i Paesi ad essa aderenti. Il dittatore russo considera ancora, in una logica vetero imperiale e sulla base di una lettura della storia ormai superata, molti Stati dell’Europa orientale quali propri satelliti attuali o potenziali. Putin ha quindi il «terrore» della capacità di attrazione esercitata su di essi da parte dell’Unione europea che si presenta invece come modello, di gran lunga preferibile, di democrazia, tutela dei diritti fondamentali e legalità internazionale.

Per un dittatore che si è assicurato il proprio potere «a vita» si tratta di una prospettiva inaccettabile ed un pericoloso riferimento anche per il popolo russo ed il suo dissenso interno, la cui profondità non è facile per noi misurare ma che sta crescendo in funzione del pacifismo. L’ulteriore bavaglio sulla libertà di informazione evidenzia peraltro un’evidente preoccupazione.

Ecco perché per Putin l’unica risposta possibile resta il più vecchio degli strumenti di «persuasione», la guerra. Ed ecco perché l’Unione europea, laboratorio di democrazia e di sovranità condivisa fra più popoli, non può accettare lo scenario aperto con l’aggressione militare: è in atto la «resistenza dei nostri valori», a partire da quello della pace con le sue ragioni superiori, oltre e molto più della pur importante sovranità dell’Ucraina.

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