Diciamolo senza mezzi termini: l'8 marzo non è la Festa della Donna. La verità che nessuno ha il coraggio di dire è che al genere femminile non gliene frega davvero niente di questa celebrazione. Non esiste festa più ipocrita dell’8 marzo.
Ogni anno, proprio in questa giornata, il gentil sesso si divide in tre categorie. La prima: truppe di scalmanate che si riversano nelle pizzerie o nei bar per darsi alla trasgressione, scimmiottando le modalità predatorie maschili e cantando a squarciagola «Donne dududu...in cerca di guai». Risultato? Alla fine nei guai ci si ficcano sul serio perché la caccia in branco, puntualmente, va male. Lasciando le donzelle deluse e ricevendo addirittura il resto da sopra, tra palpeggiamenti e battutacce indesiderate. La seconda. Schiere di rispettabili signore, militanti attempate di un becero femminismo ostentato, che fanno letture seriose, incontri o dibattiti pur di fare qualcosa che gli altri giorni magari non possono fare: ossia pensarsi libere dalla gabbia che si sono costruite. Terza e ultima categoria. Le indifferenti, quelle che non fanno nulla. E queste, ve lo assicuro, sono la stragrande maggioranza. Il punto è che non c’è nessuna Festa della Donna da festeggiare: l’8 Marzo è la Giornata internazionale delle donne. Ci sono due fatti storici che hanno cerchiato di rosso questo giorno nel calendario: il rogo della fabbrica Cotton a New York dove nel 1908 persero la vita 62 operaie e la manifestazione in piazza nel 1917 quando le donne russe si mobilitarono per chiedere la fine della guerra, dando così origine alla “rivoluzione russa di febbraio” che ispirò la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste dell’8 marzo.
La domanda, ora, sorge spontanea: come diamine è possibile che da ricorrenza inventata dalle operaie della Russia pre-rivoluzionaria, la Giornata internazionale della donna si sia trasformata in una specie di Carnevale del sessismo accondiscendente, in cui vengono sovvertite tutte le regole a patto che il giorno dopo si ri-affermi lo status quo? La risposta non c'è. È un mistero.
Il femminismo sosteneva la forza e l’autonomia delle donne. Adesso è una retorica moralista che, in alleanza inconsapevole col maschilismo, vede nella donna una figura debole e dipendente. La formula osannata ogni 8 marzo «più diritti alle donne», si è logorata fino a non significare più nulla. A maggior ragione se sono le stesse donne a delegare la tutela dei propri diritti solo a quegli uomini che hanno la bontà di promuoverli. Basta fare appello alla retorica della doglianza, che mai come oggi è una garanzia di inattaccabilità.
Se invece l'intento dell’8 marzo è quello di festeggiare la donna e la sua femminilità, la musica cambia. Non ha senso snocciolare tristi litanie che ricordano i dati sulla disoccupazione femminile, la differenza negli stipendi, l’assenza di servizi o la precaria condizione femminile in tutti i campi. È totalmente inutile stracciarsi le vesti per ventiquattr’ore. Molto meglio sarebbe una coerente indifferenza alla celebrazione.
In Italia c’è la festa della mamma, del papà, del gatto, del cane, degli innamorati e dulcis in fundo della donna, mentre non c’è una festa dell’uomo. Segno che in questo mondo la festa dell’uomo si tiene 364 giorni all’anno. E non è affatto colpa degli uomini, sia chiaro. Anzi, continuate a riempirci di attenzioni, ma fatelo ogni giorno, non solo l’8 marzo. Una mimosa per quanto bella e gradita, non ci salverà. E di sicuro non ci servono auguri o scatole di cioccolatini. E allora se siete d'accordo, facciamo così. Per poter sovvertire questo strano universo fatto di fiocchi rosa e blu, decidiamo di non festeggiare proprio niente. Perché di fatto non c’è nulla da festeggiare, ma c’è ancora tanto, tantissimo per cui lottare. I diritti non sono mai del tutto conquistati, per nessuno. Che si tratti di uomini, di donne, di bambini e perché no, anche di animali.
Donne dunque uniamoci: l’8 marzo non facciamo nulla, dove questo far nulla non ha alcun intento polemico né contro «i diritti» né contro chi fa finta di assecondarli per poi negarli: è il semplice far nulla di chi rifiuta una qualsiasi alternativa.