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La fuitina? È nata con l’uomo

 
Felice Alloggio

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Felice Alloggio

L'altra storia del Monte Rosso

Il primo matrimonio riparatore nella Bari vecchia mitologica, tra realtà e fantasia

Domenica 18 Aprile 2021, 10:31

A Bari vecchia come in tanti altri luoghi dell’Italia meridionale, le ragazze talvolta se n'ascènnene, (se ne scappano) con i loro fidanzatini perché magari le famiglie non si gradiscono. La tradizione della cosiddetta scappatina, forse non tutti lo sanno, deriva dalla mitologia. Questo perché la prima donna che scappò con il proprio uomo nella storia del mondo antico fu lei, Giunone, moglie di Giove. Ora vi raccontiamo come e perché avvenne il fatto. Quando Giove vide per la prima volta Giunone se ne innamorò immediatamente e cominciò a corteggiarla. Invece alla dea, che era molto bella e dalla quale fu coniato il neologismo giunonica, Giove non piaceva. Il signore dell’Olimpo allora si trasformò in un uccellino chiamato cuculo e, siccome lui era anche Giove pluvio, fece cadere dal cielo un bel po’ di pioggia che bagnò il povero volatile il quale, planando, trovò riparo nel petto di Giunone.

La dea, impietositasi, perché il povero cuculo non poteva più muovere le alette e volare, lo prese fra le sue mani, u assecuò bèlle bèlle, (lo asciugò per bene) lo accarezzò e lo strinse nuovamente forte al petto per riscaldarlo. Non lo avesse mai fatto! Infatti l’uccellino, ossia Giove, eccitato ritornò ad essere dio immortale e, un secondo dopo, Giunone perse la sua verginità. Era uso fra gli dei che nessuno potesse fare l’amore prima di sposarsi, pertanto, un attimo prima di perdere la verginità, Giunone riuscì a strappare una promessa a Giove, ossia che dopo aver fatto l’amore l’avrebbe sposata. Cosa che avvenne perché Giove voleva bene a Giunone. Nel frattempo però la svergognata dea si fece rapire da Giove e insieme sparirono per un po’di tempo, ossia se ne scapparono per consumare ripetutamente il loro rapporto. Fu il primo caso nella storia universale del mondo di un rapimento consensuale di una donna da parte di un uomo per scopo matrimoniale, rapimento che nei secoli a venire e, in qualche luogo ancora oggi si attua, e che a Bari vecchia viene chiamato “la zite ascennùte”, ossia scesa, scappata da casa.

A Marcello e Vespertina, due fidanzatini baresi di religione cristiana prossimi al matrimonio furono costretti al matrimonio riparatore perché la dea pagana Minerva, non voleva che i ragazzi si sposassero perché professavano entrambi una religione che si contrapponeva al paganesimo. I due ragazzi – stiamo nel periodo in cui era imperatore di Roma Nerone - si sarebbero dovuti sposare presto in un luogo di culto nascosto nell’unica catacomba presente in Bari vecchia, esattamente nel luogo in cui, duemila anni dopo, esattamente negli anni ’60 del ventesimo secolo, fu ubicato l’ambulatorio antirabbico. Naturalmente il matrimonio doveva celebrarsi di nascosto, facendolo sapere solo ai parenti perché questo sacramento, come tutti gli altri, era stato vietato da Nerone, e se i promessi sposi fossero stati scoperti sarebbero stati sbranati dalle belve dell’anfiteatro. La dea Minerva che dall’Olimpo aveva visto tutto non potendo agire contro i promessi sposi cristiani, il giorno prima del matrimonio organizzò un grave incidente stradale nel quale trovò la morte una zia della ragazza.
Questa infatti fu investita e uccisa da una biga trainata da quattro grossi struzzi impazziti. In questo modo con un funerale alle porte, secondo Minerva, il matrimonio non sarebbe stato celebrato. Il celebrante invece approfittò di quella disgrazia e informò la famiglia che il funerale si sarebbe celebrato l’indomani, ossia lo stesso giorno del matrimonio. In questo modo le famiglie potevano stare più tranquille perché il matrimonio sarebbe stato mascherato da un funerale, unico rito cristiano in quel tempo tollerato anche dai pagani. Ma le consuocere che, secondo tradizione mitologica cristallizzatasi nei tempi e valida ancora oggi, erano state sempre come cane e gatto, quella volta si unirono per contrastare il volere del celebrante e, per tale motivo, lo invitarono quel pomeriggio nella casa di lei per discutere con calma circa la risoluzione dell’annoso problema. In casa di Vespertina il celebrante, si sedette al centro del lato lungo del tavolo, la suocera della ragazza si sedette alla sua sinistra con il figlio Marcello accanto, e a destra del celebrante si sedette la mamma di Vespertina con accanto sua figlia. Il celebrante, ribadendo il suo pensiero, aggiunse che se loro non avessero ottemperato alle sue disposizioni, il funerale sarebbe stato celebrato il giorno stabilito per il matrimonio, mentre quest'ultimo sarebbe stato rinviato sine die, perché dal lunedì immediatamente successivo tutte le catacombe per ordine di Nerone dovevano essere chiuse per procedere alla disinfestazione dei locali. In realtà non ci doveva essere alcuna disinfestazione ma la distruzione delle catacombe con il fuoco da parte dei soldati romani. Alla notizia del rinvio del matrimonio Vespertina si oppose vigorosamente, affermando che lei ed il suo ragazzo si volevano molto bene e che non volevano attendere nemmeno un giorno in più per sposarsi. Marcello invece non fiatò. Sua madre, sospettosa, quando vide la reazione della nuora ed il silenzio del figlio, chiese alla ragazza se ci fosse un motivo personale o un segreto da confessare a tutti, facendo velatamente intendere che forse aveva un’altra verità nascosta per accelerare il matrimonio. La mamma di Vespertina prese la parola e mise subito in chiaro che sua figlia era una ragazza virtuosa e che era stata sempre protetta dalle sue attenzioni. Ma la consuocera, vedendo suo figlio nervoso, e silenziosamente preoccupato, si alzò, lo prese per un orecchio, si allontanò dal tavolo tirando per un orecchio il figlio e, ponendosi ad un angolo del tinello a distanza di discrezione, si fece raccontare tutto da Marcello, ossia che la ragazza stève ‘ncìnde, (era in cinta) di due mesi.

La confessione che passò sottovoce dalla bocca di Marcello alle orecchie di sua madre, un secondo dopo divenne in tutto il vicinato, voce di popolo. Apriti cielo!
«Cosa mi stai facendo sentire», chiese a Vespertina sua madre, «perché non ti difendi da questa pettegola dalla lingua velenosa, questa serpe, questa donna abituata a strillare m-mènze a la strade (per strada) nei bassi di Bari vecchia?»
«Mamma», rispose piangendo Vespertina, «perdonami mamma, che vergogna, che vergogna confessare tutto davanti al celebrante».
«Ma io sono qui anche per questo», disse il prete.
«Quando è successo il fatto? Quand’è che ve ne siete scappati tu e Marcello?» gli chiese ancora la donna tirandola per i capelli.
«Non ce ne siamo scappati mamma, tutto è avvenuto quando tu e papà andaste a sentire in riva al mare un apostolo venuto da Betlemme. Quel pomeriggio infatti io sentii bussare alla porta e …»
«E tu apristi?» domandò la mamma auspicandosi che la figlia rispondesse di no.
«No mamma, non ho aperto, però dietro la porta c’era Marcello che, con un mazzo di fiori in mano, mi disse: “apri Vespertina, ti ho portato dei fiori che devi metterli subito nell’acqua altrimenti spambanèscene, appassiscono».
«E tu hai aperto?»
«Appena appena mamma, solo per prendere i fiori, ma Marcello spinse e la porta si apri del tutto».
«E per forza», disse la consuocera intervenendo, «ce na fèmmene iabre la porte u masque spènge!» (se una donna apre la porta, il maschio spinge!).
«Disgraziata, spudorata, senza virtù», gridò la madre di Vespertina alzandosi e correndo intorno al tavolo dietro la figlia per picchiarla, «faccio un macello, ti spezzo le gambe, quando lo saprà tuo padre saranno guai per te. Fermati, vieni qui e continua a raccontare la storia», le ordinò.
«E allora», riprese Vespertina, «mentre io mettevo i fiori nel vaso per non farli seccare, Marcello cominciò a toccarmi e ad accarezzarmi prima il collo, poi il seno, quindi i fianchi e poi, che vergogna mamma, poi, poi, il sedere. E all’improvviso i baffi di Marcello si rizzarono tutti come alle spine du rizze (come le spine di riccio), e io sconvolta me ne scappai».
«Fuori?» chiese la mamma.
«No, in camera da letto!», rispose Vespertina.
«E Marcello?»
«Marcello mi veniva dietro e poi inciampò e cadde per terra perché aveva i pantaloni abbassati».
«Ben gli sta!» affermò decisa sua madre.
«Povero figlio», disse invece la mamma del ragazzo accarezzandolo mentre Marcello si era accucciato fra le sue braccia.
«Naturalmente ti sei chiusa in camera», chiese la mamma alla figlia.
«No mamma. Io tornai indietro perché volevo aiutare Marcello a sollevarsi da terra. Infatti lui si lamentava sospirando».
«Peggio per lui, e dopo, cosa avvenne dopo?»
«E dopo mentre lo stavo aiutando a rialzarsi i suoi baffi si raddrizzarono un’altra volta ed io persi l’equilibrio e …»
«E inciampasti su di lui, “concluse il celebrante che le ordinò: «Basta, non voglio sentire altro. Ti vieto di parlare».
«Vergognati, vergognati, senza sentimenti, senza virtù, a terra a far l’amore», gridò la suocera a squarcia gola per far sentire a tutto il vicinato il litigio, «povero figlio mio, chissà come hai sofferto, ti sei fatto male?» chiese la mamma al figlio.
«No mammina, anzi!»
«È tuo figlio che dovrebbe vergognarsi», rispose con altrettanta foga la mamma di Vespertina, «questo mascalzone si è intrufolato in casa nostra, una casa onorata, con l’inganno. Vigliacco, hai disonorato una casa onorata, seduttore!»
«Non è vero mamma», rispose Marcello difendendosi, «non sono stato io a sedurre Vespertina, ma è lei che ha sedotto me. Infatti quando sono entrato lei aveva indosso quella sottana che quando un uomo vi guarda attraverso, si vede e non si vede, pare e non pare ciò che c’è sotto».
«Come?» chiese la mamma alla figlia, «lo hai fatto entrare mentre avevi indosso solo la sottoveste?»
«Non è vero mamma - rispose Vespertina, - quando lui è entrato io stavo misurando il pareo dell’estate».
«E io cosa ho detto - replicò Marcello -, parea e non parea!».

E fu così che il celebrante fece smettere tutti e prese la parola invitando la ragazza e il seduttore a presentarsi il giorno dopo, ossia la domenica, in primissima ora, ossia alle sei nel luogo del culto catacombale per sposarsi. La ragazza non doveva indossare né il vestito bianco né veli, pizzi e merletti, e doveva avere il capo ben coperto da un grande fazzoletto di colore neutro. Accanto a lui doveva esserci il fidanzato con indosso una lunga casacca scura. A mezzogiorno poi si sarebbe celebrato il funerale. Le consuocere non aprèrene vocche, (non aprirono bocca), consolando ciascuna il proprio figlio.
Il giorno del matrimonio, nonostante fosse molto presto Venere lasciò solo Marte nel grande letto per tenere a bada Minervae, dall’Olimpo molto contenta assistette al rito matrimoniale perché, cristiani o pagani, aveva vinto l’amore.

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