Michele Mignani a tutto campo. La parola al tecnico che sta cercando di portare Bari fuori dall’«inferno». Il calcio ma anche tant’altro. Un viaggio anche alla scoperta dell’uomo.
Mignani, che idea aveva di Bari e del Bari prima della chiamata nella scorsa estate?
«Semplice. Una piazza affascinante. Ricca di storia e con un futuro pieno di progetti ambiziosi».
Come l’ha trovata scoprendola?
«L’aggettivo affascinante sta un po’ stretto a Bari. Qui si respira aria di grande calcio. Città e tifoseria rappresentano un’eccellenza a livello nazionale. E aggiungeteci una società che ha voglia di fare le cose in grande».
Ci racconti la telefonata con Ciro Polito. Cosa ha provato?
«Un profondo senso di responsabilità. Hai un moto di orgoglio ma poi sai che non puoi nasconderti».
Il direttore sportivo è uno che parla chiarissimo. Le ha detto senza mezzi termini che andare in serie B è l’unica cosa che conta?
«Certo, lo ha detto. Ma, mi creda, non ce ne sarebbe stato bisogno. Quando ti chiama il Bari l’unico obiettivo è vincere».
È vero che Polito ama fare tutto da solo sul mercato. L’allenatore dà indicazioni e lui sceglie i calciatori.
«Sì. E credo che sia anche giusto così».
Qui si parla spesso di pressione. Spesso un alibi.
«È normale che ci sia. Tutto sta a farla diventare un’energia positiva. Direi anche uno stimolo».
Che idea si è fatto del tifoso barese?
«Gente calda, con la squadra c’è un legame fortissimo. Per i baresi la serie C è una vera e propria tortura».
Anche ambiziosa. Non si aspetti che, dopo l’eventuale promozione, qualcuno parli di salvezza in B.
«Ci mancherebbe altro. Ho quasi cinquant’anni e conoscono molto bene certe dinamiche. Posso dirle che queste situazioni mi piacciono. Ma andiamoci piano, però. Una cosa per volta, no? Ora pensiamo a chiudere alla grande questa stagione».
Andiamo oltre il calcio. Come se la cava a tavola?
«Mi piace mangiare bene».
Non le è andata male a Bari...
«So di essere in una botte di ferro».
C’è un piatto che l’ha stregata più di altri?
«Patate, riso e cozze. Un classico da queste parti».
E la città?
«Ho finalmente avuto la possibilità di regalarmi un bel giro in centro. Non penso di dire qualcosa ad effetto parlando della città vecchia come di un angolo ricco di magia».
E il dialetto?
«È durissima, mi creda. Ma cerco almeno di capire».
Ci dica una parola.
«Qui tutti dicono sempre “uagnù”. Ascoltare i baresi mi mette di buon umore».
Il ruolo dell’allenatore. Quanto conta la «mano» in panchina?
«Il giusto. Non chiedetemi percentuali. Se un tecnico è messo nelle condizioni ideali diciamo che il suo peso può anche fare la differenza. Più in generale dico che un allenatore è importante. Molto importante».
Guardiola o Mourinho?
«Guardiola, per distacco».
Klopp o Conte?
«Entrambi fenomenali. Scelgo Antonio che è italiano come me».
In Italia come siamo messi?
«La nostra scuola è sempre all’avanguardia. Penso ad Allegri e Ancelotti».
E gli emergenti?
«Italiano. Le sue squadre hanno un’identità e giocano un calcio propositivo».
Chi vincerà lo scudetto?
«L’Inter è la più forte e lascerà tutte dietro».
La Juve se la stava passando maluccio. Poi con Vlahovic...
«Ero convinto e lo sono ancora di più oggi che sarà tra le prime quattro».