BRINDISI - «Mio figlio non era un criminale. Chi lo ha ucciso, ha ucciso anche me, mia moglie e tutta la famiglia: ci ha condannato al dolore per la vita ed è un ergastolo, di fronte al quale non c’è posto per il perdono, ma solo la speranza che sia fatta giustizia».
Voleva essere presente in tribunale, Piero Carvone, il papà di Giampiero, il ragazzo di 19 anni ucciso a colpi di pistola sotto la sua abitazione, in via Tevere, al rione Perrino, nella notte fra il 9 e il 10 settembre 2019. Ieri ha partecipato all’udienza preliminare a Lecce, davanti al gup Angelo Zizzari, assieme alla moglie Patrizia: hanno incrociato lo sguardo dell’unico imputato per l’omicidio, Giuseppe Ferrarese, 27 anni, di Brindisi, in carcere dal 27 giugno 2022.
La pm della Dda di Lecce, Carmen Ruggiero, ha chiesto il processo contestando le aggravanti dei futili motivi e dell’aver commesso il fatto per agevolare le attività dell’associazione di stampo mafioso Sacra corona unita: Carvone sarebbe stato «promesso ad Andrea Romano, capo dell’omonimo clan, tramite un suo affiliato» e avrebbe «pregiudicato gli interessi dei gruppi criminosi che esercitavano il controllo sulla città di Brindisi, tra cui quello riconducibile» anche a «Davide Di Lena e Luca Ciampi» (entrambi estranei a questo troncone). Carvone avrebbe agito come «cane sciolto, al di fuori delle regole e in violazione del vincolo di omertà imposto dal clan». Ucciso perché avrebbe indicato Giuseppe Ferrarese come suo complice «nel furto dell’auto di Stefano Coluccello», una Lancia Delta, la mattina precedente.
Tre colpi di pistola 7,65 mentre Carvone era di spalle. Uno alla testa, quello fatale. Andrea Romano è diventato un collaboratore di giustizia ed è stato ascoltato sull’omicidio, così come sua moglie Angela Coffa, la sorella Annarita Coffa e il marito Alessandro Polito. Con la formula dell’incidente probatorio è stata sentita anche una giovane donna brindisina, separata e madre di due figli, che con le sue dichiarazioni ha sconfessato l’alibi di Ferrarese per quella notte. La ragazza è stata riconosciuta come testimone di giustizia.
La pm della Dda ha chiesto il processo anche per Orlando Carella, brindisino, 54 anni, accusato di aver minacciato quella giovane donna prima che rendesse testimonianza nel processo a Brindisi, il 23 aprile 2021, scaturito dall’indagine sul furto d’auto. E ieri ha specificato il capo d’imputazione nei confronti di Carella, contestando il favoreggiamento. La pm, inoltre, ha chiesto l’acquisizione di alcune intercettazioni nell’ambito dell’indagine sulla droga che ruota attorno al clan Romano-Coffa. Il gup ha rinviato la decisione al 14 marzo, dopo aver ammesso la costituzione delle parti civili, rappresentate dall’avvocato Marcello Tamburini: oltre ai genitori del ragazzo, la sorella e il fratello minori e i nonni. La richiesta di risarcimento danno avanzata ammonta a due milioni di euro.
«Chi ha ucciso mio figlio, deve pagare per quello che ha fatto», dice Piero Carvone, appena terminata l’udienza. «Giampiero era un ragazzo che come quelli della sua età, a volte, aveva la testa calda, ma io e mia moglie lo abbiamo sempre rimproverato. Purtroppo ha incontrato persone sbagliate e ai giovani dico di fare attenzione alle amicizie che scelgono, di amare la vita e di difenderla perché è la cosa più preziosa che c’è. Basta un niente per farla finire, come è successo a mio figlio. Quella sera mi disse: “Scendo dai miei amici” e dieci minuti dopo era morto», ricorda con la voce che si spezza in gola. «Se siamo a un passo dal processo, è grazie alla testimonianza di una giovane donna e alla professionalità di un’altra donna, la pm di Lecce», sottolinea. «Le indagini inizialmente sono andate a rilento e temevo che l’inchiesta potesse essere archiviata. Adesso chiedo solo una cosa: la verità sulla morte di mio figlio».