Quella di oggi è una data simbolica. Paradossalmente cade a ridosso di quella storica del 25 aprile e in qualche modo ruota intorno allo stesso concetto di liberazione. E come nel 1945 l’occupazione nazifascista non terminò in un solo giorno, così anche oggi ci liberiamo dei primi più pesanti effetti della pandemia ma non certo del virus che l’ha generata.
Oggi l’Italia riapre. Con prudenza, ci viene precisato; senza abbassare la guardia, ci viene raccomandato. Si riapre. Rispetto a un anno fa (era il 4 maggio) dopo il primo lungo vero lockdown, questa volta le riaperture - pur sempre graduali e progressive - sono accompagnate da un elemento nuovo e sostanziale: la vaccinazione. La pandemia non finisce perché riusciamo a sconfiggere il virus: la pandemia può finire solo se riusciamo a convivere col virus immunizzandoci. È elementare, eppure...
Con le regioni non ancora tutte uguali, ma colorate di giallo o arancione o addirittura rosso, oggi di fatto l’Italia riparte comunque. Oggi si avvia un nuovo Rinascimento del Paese, connotato dall’incidenza della tecnologia nella convivenza civile. Il mondo post-Covid sarà diverso da quello che conoscevamo prima, e già in questa fase intermedia del «già e non ancora» avvertiamo le differenze. La valenza della comunicazione virtuale è sicuramente la prima e più sensibile trasformazione sociale indotta dall’emergenza sanitaria.
Ne sanno qualcosa per esempio i giovani, gli studenti, costretti alla didattica a distanza per mesi, privati di compagnie fisiche ma non di rapporti sociali; lo sanno bene le famiglie, obbligate a lasciar filtrare gli affetti da uno schermo più o meno grande. E lo hanno imparato anche le aziende, che han fatto di necessità virtù e attraverso la gestione virtuale hanno potuto continuare il lavoro reale. Lo sappiamo tutti che non è la stessa cosa, che stringersi la mano o abbracciarsi è diverso, ma grazie all’ «online» siamo riusciti a fronteggiare l’isolamento imposto dal virus.
Questo nuovo Rinascimento viaggia su un doppio binario: quello della salute e quello del rilancio economico. Dalla salute non possiamo prescindere, come non possiamo rinunciare al sostegno economico per ricominciare a camminare sulle nostre gambe. Ma sia la salute, sia la ripresa, non dipendono da terzi: da oggi è imprescindibile un cambio di mentalità sociale, una nuova impostazione culturale della vita individuale. Nessuno si salva da solo, ma ognuno salva tutti attraverso il proprio comportamento.
Già sabato sera, e nella giornata di ieri ancora di più, le città sono tornate a vivacizzarsi e le strade ad affollarsi come se fosse già arrivato il «liberi tutti». In realtà non siamo liberi per niente, ma non è uno scandalo rimettere il naso fuori dalla porta di casa o voler mettere due passi nei parchi o in riva al mare. Come deve vincere la prudenza, così deve finire la retorica della zona rossa. Questo Rinascimento non può assecondare la logica dei divieti, ma deve pretendere il regime della libertà responsabile. Il virus circola ancora e continuerà a farlo: dunque ci immunizziamo con i vaccini, e se manteniamo mascherine e distanziamento possiamo anche riconquistare spazi di normalità. Sarà una normalità aggiornata alla situazione, modificata rispetto alla precedente, ma sarà fatta di relazioni sociali finalmente reali e non più virtuali.
Il rischio è «ragionato», come ha precisato Draghi, ma non va sottovalutato. Non è difficile immaginare cosa accadrebbe se precipitassimo in una sciagurata quarta ondata, con nuove chiusure e nuovi regimi di isolamento. Sarebbe la fine, sotto un profilo morale e sostanziale, per una società già provata e non ancora ritornata in moto.
Siamo ancora in mezzo al guado ma, rispetto a un anno fa, abbiamo l’arma del vaccino. E siccome la campagna vaccinale stenta ancora a decollare per colpe molteplici, non possiamo scendere a compromessi. Non possiamo barattare la libertà con la salute; né possiamo cedere la salute per l’economia. Questo cambio di passo sociale si impone: non abbiamo alternative.