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Il coraggio di pubblicare soltanto notizie vere

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Computer e abbonamenti a Internet a prezzi scontati per i redditi più bassi

Con il Web oggi è dato a tutti di «fare le notizie» o di «essere notizia» e la maggioranza non deve più accontentarsi di riceverle

Domenica 14 Marzo 2021, 17:05

«Faccio una ricerca su Internet» è una frase grimaldello che si sente sempre più spesso e che ha assunto un’aura strana, quasi da sortilegio. All’università, dove, peraltro, la rete svolge una funzione cruciale, sempre più spesso «la ricerca su Internet» si erge autoritaria e quasi minacciosa tra studenti e docenti e se i professori stessi l’hanno istigata, essa, tuttavia, si alza come un feticcio inappellabile e indiscutibile. E il mondo, dalla rete, capitombola tra i nostri piedi, nel nostro tinello. Tutto a portata di mouse. Parafrasando Flajano, quando sento dire da uno studente che farà una ricerca su Internet, mi viene spontaneo commentare: «Sempre più comodo che studiare».

Una mia zia, sentendo alla radio la notizia di un cataclisma, sospendeva per un attimo ogni faccenda e prestava orecchio vigile, trasalendo visibilmente, salvo a rifiatare sollevata se, a completamento del comunicato, lo speaker informava che l’evento era accaduto in una plaga lontana. Ho sempre sospettato una certa malizia del giornalista che partiva spettacolarmente con «Trecento dispersi in un terremoto…(pausa)…in Australia orientale». Zia si bloccava sui trecento dispersi con la bocca aperta e la scopa in mano, poi a «Australia orientale» diceva «Ah, meno male» e riprendeva il lavoro tranquilla e indifferente a quelle vittime esotiche e lontane.

Io, bambino, mi dispiacevo per i trecento dispersi, in cuor mio speravo che li salvassero. La notizia per me c’era tutta e drammatica, per giunta. E i trecento dispersi, comunque, «facevano notizia». Poveri loro.
Il fatto è che quelle lontananze non esistono più, intese come lande talmente lontane da sfumare in confini imperscrutabili al punto da legittimare la nostra incredulità. Come erano quando l’informazione globale non esisteva e la loro percezione finiva per confondersi con la congettura e la fantasia fuse nella incredulità innocente. O nella letteratura.

Con il Web oggi è dato a tutti di «fare le notizie» o di «essere notizia» e la maggioranza non deve più accontentarsi di riceverle. I confini del villaggio si sono allargati a dismisura e, per conseguenza paradossale, il mondo si è rimpicciolito al punto che, finalmente, ci commuovono anche i terremoti in Asia o le carestie in Africa. E, si spera, la devastazione delle foreste amazzoniche. Tutto il mondo è paese, si sa da sempre, ma pensavamo a un senso diverso dell’adagio: che volesse affermare che siamo uomini e donne, con virtù scarse, privati vizi e pubblici difetti, simili in tutto. Il paese unico e globale che siamo diventati, grazie anche alla «rete», non consente più indifferenza o disinteresse, però implica avidità di notizie, fame di quella comunicazione ininterrotta che sembra prevalere sull’ottimo costume della notizia da dare quando c’è e solo quando c’è.
L’incubo del dover riempire un notiziario o una prima pagina a tutti costi, comporta l’horror vacui che rischia di contaminare la nostra esistenza quotidiana che è pari solo alla cinica, incosciente indifferenza di quelli che non sapevano guardare di là dalla cinta dialettale per interessarsi di qualcosa.

L’evento epocale Covid 19, la pandemia in cui siamo implicati con spietata perversità unanimemente patita, sta stritolando il pianeta in una sola dimensione e rinchiude tutti i suoi abitanti in un antropocene nuovo, affollato di dolori e terrori non più delimitati dalle linee geografiche, dai confini geopolitici o rinserrata nelle cortine di ferro, di bambù o dei consumismi, no: la globalizzazione è avvenuta in grazia dell’informazione. E questa si attua in forme, modi, tecniche che la trasformano nella valuta del nuovo capitalismo globale. E non è avvenuta dilapidando le benedette diversità in una omologazione socioculturale, ma nella condivisione obbligata del terrore.


La comunicazione globale, però, esige, spesso, che si perpetri la trascuratezza della verità e si ignori volutamente la sua verifica rigorosa.
Il caso del vaccino imputato di avere avuto conseguenze letali su alcuni vaccinati è esemplare. Non si è attesa alcuna verifica, si sono ignorate le più elementari regole deontologiche, sono rimasti inascoltati i pareri della scienza: il bisbiglio planetario ha invaso ogni spazio dell’informazione e la faccenda è uscita dall’ambito medico-scientifico per rientrare nel repertorio del mercato e del suo planetario imperioso repertorio di regole. Conferma che non serviva delle implicazioni nella vicenda sociale ed economica di quella che avrebbe dovuto restare una impresa rigorosamente medico-scientifica.


Se la notizia non c’è, non c’è. Punto. È inutile ricorrere ai «forse» e ai «si dice» o, addirittura, spintonando la verità, al «prima o poi accadrà e, quindi, tanto vale…». La morale di chi pratica questo stile aberrante è: meglio dire una bugia che rischiare di «bucare» la notizia. Tanto, poi, siamo sempre pronti a smentire. E chi s’è visto s’è visto. Il disorientamento del lettore è enorme e moltiplicato dal Web che frulla e distribuisce una quantità enorme di informazioni che finiscono per nauseare come un’immane indigestione. L’occasione più ghiotta è questa tragedia che stiamo vivendo in cui la fantasia si incarica di trasformare le ipotesi in provocazioni, le congetture in sfide, le illazioni in fatti, forse, per sfamare l’ansia di aver qualcosa in prima pagina: se non il mostro, almeno la catastrofe in vista e che non arriva, ma favorisce la smentita del giorno dopo. Forse per sfamare il rovello che, innegabilmente inquieta i nostri timori o, forse, solo per sfamare il giornalista e l’editore. Il fatto è che i giornali, i giornali radio, i telegiornali, devono uscire ogni giorno, più volte al giorno. I notiziari sul web più volte al minuto. Quando c’è penuria di notizie «notiziabili», ci s’attacca a qualsiasi cosa. Una volta si ricorreva agli innocenti dischi volanti o all’abominevole uomo delle nevi, oggi, qualche volta, si pesca nel probabile o nel sentito dire.
Bernanos scrisse: «Ad un certo punto uno scrittore deve scegliere tra il conservare la fiducia dei lettori o il perderla e che preferiva perderla anziché ingannarli».
L’ho trovata su Internet.

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