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Palagiustizia col contagiorni perché non si può attendere

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Palagiustizia col contagiorni perché non si può attendere

foto Luca Turi

Il contagiorni dovrà esercitare la funzione di richiamo e di monito per tutte le autorità decisionali coinvolte e per tutte le coscienze preoccupate per lo stato comatoso in cui versa l’infrastrutturazione giudiziaria barese

Domenica 14 Marzo 2021, 16:13

Chissà cosa direbbe oggi il giurista Charles-Louis de Secondat barone di Montesquieu (1689-1755) se avesse la possibilità, dall’Aldilà, di farsi un giretto sulla Terra e di fare tappa a Bari, per informarsi sullo stato dell’arte della giustizia. Forse aggiornerebbe, rendendolo più duro, uno dei suoi più celebri (e citati) aforismi: giustizia ritardata, giustizia negata. Forse parlerebbe anche di giustizia beffata, sradicata, massacrata. Il rebus della sede degli uffici giudiziari del capoluogo pugliese, la cui soluzione evoca il paradosso - autore il filosofo greco Zenone di Elea (489-431 avanti Cristo) - di Achille che non raggiunge mai la tartaruga, sembra fatta apposta per meritare un approfondimento postumo da parte di intellettuali del calibro, Montesquieu, Alessandro Manzoni (1785-1873), Leonardo Sciascia (1921-1989), ossia di quanti hanno fatto della esigenza di una giustizia rapida e giusta, della ricerca profilattica della verità giudiziaria, il fulcro della loro produzione saggistico-letteraria.
Achille non raggiunge mai la tartaruga a Bari in materia di giustizia, perché la sede è vacante, come direbbero i cattolici tradizionalisti rimasti ancorati al Concilio Vaticano I (questi sedevacantisti non riconoscono i successori di Papa Pio XI, perché espressioni del Concilio Vaticano II). Ma non divaghiamo.

Da una vita la società civile e gli addetti ai lavori attendono la costruzione di una dignitosa casa della giustizia a Bari. L’attendono sia perché è inammissibile che la funzione più importante di un consesso umano - ossia l’amministrazione della giustizia - venga esplicata in condizioni che definire precarie costituisce un eufemismo caricaturale; sia perché gli sviluppi normativi in merito rendono vieppiù indispensabile l’accelerazione dei tempi di giudizio. Ecco perché da oggi riprodurremo e aggiorneremo sulla Gazzetta la cronologia della telenovela del nuovo Palazzo di Giustizia a Bari. Il contagiorni dovrà esercitare la funzione di richiamo e di monito per tutte le autorità decisionali coinvolte e per tutte le coscienze preoccupate per lo stato comatoso in cui versa l’infrastrutturazione giudiziaria barese. Di più - se non denunciare la lentocrazia, le responsabilità, e tenere sempre acceso il faro sulla questione - un giornale non può e non potrebbe fare.

Il che non significa che, a un certo punto, di fronte all’(eventuale) inguaribile sordità dei protagonisti, di fronte alla tradizionale vocazione allo scaricabarile tipica del ceto politico-amministrativo, questo giornale debba o possa gettare la spugna. Non mollerà mai la presa, smanioso di sapere e verificare fino a quando verrà messa a dura prova la pazienza dei cittadini.
Ma, lo accennavamo prima, a rendere vieppiù urgente la realizzazione del nuovo palazzo di giustizia a Bari contribuisce un altro fattore: la recente riforma della prescrizione, abolita se maturata dopo il primo grado di giudizio. Finora, infatti, il fantasma della prescrizione induceva i giudici ad accelerare i tempi d’esame delle controversie, proprio per scongiurare la prospettiva di un (estenuante) processo condannato a finire in un nulla di fatto.

In teoria, secondo i critici della riforma, i giudici, con l’abolizione della prescrizione, potrebbero essere indotti a risparmiare impegno e fatica. Il che potrebbe contribuire a formare una nuova fascia sociale, quella dei processati a vita. Sappiamo, però, che così non è, e che la causa dei ritardi nello smaltimento dei processi non vada solo cercata nelle pieghe delle accuse a rimpiattino tra magistrati e avvocati, ma vada individuata innanzitutto nelle insufficienze strutturali e organizzative della macchina giudiziaria. Se si procede su una 500 alquanto vecchiotta non si riuscirà mai a raggiungere quelli che sfrecciano su una Ferrari appena uscita dai cancelli di Maranello.
Una sede moderna per ospitare tutti gli stakeholder del pianeta giustizia è il minimo sindacale per garantire una risposta giurisdizionale rapida, dinamica e credibile. Se viene meno questa condizione primaria, buonanotte giustizia e addio a ogni principio basilare di civiltà giuridica.
Già il processo in sé rappresenta una pena (Carnelutti). Se poi il processo si dilata all’infinito anche per colpa dei ritardi causati dalla vacatio della sede giudiziaria, allora il supplizio assume connotazioni feudali, a dispetto di un ordinamento costituzionale di garanzia, com’è quello di cultura liberale.


Si obietterà che a Bari una sede sia pure provvisoria c’è. Come no? Certo. Una sede provvisoria. Che non risolve affatto il problema degli spazi e dell’agibilità e che potrebbe peraltro comportare un effetto collaterale (chiamato assuefazione) assai frequente in molte attività e situazioni nella Penisola, dove nulla è più definitivo del provvisorio.
Alle corte. L’annoso problema del palazzo di Giustizia a Bari (addirittura dal 2010 il ministero era al corrente dei gravi limiti strutturali della sede di via Nazariantz) rappresenta un ulteriore spinta all’allungamento dei tempi di giudizio. Se a ciò si aggiunge la franchigia temporale insita nell’eliminazione della prescrizione il cerchio si chiude. E non felicemente.
Leggiamo il giurista Cesare Beccaria (1738-1794): «È necessario concedere al reo il tempo e i mezzi opportuni per giustificarsi; ma tempo così breve che non pregiudichi alla prontezza della pena. Il giudice diverrebbe legislatore se egli dovesse decidere del tempo necessario per provare un delitto».


Rileggiamo l’avvocatissimo Francesco Carnelutti (1789-1965): «Se il processo penale è di per sé una pena, bisogna evitare che la stessa abbia una durata irragionevole».
Chissà cosa direbbero, e scriverebbero ancora, Beccaria e Carnelutti se dal cielo decidessero entrambi di accodarsi a Montesquieu nella visita agli uffici giudiziari baresi. Forse penserebbero di trovarsi in una puntata di Scherzi a parte, di cui hanno saputo qualcosa dai racconti degli ultimi arrivati nel regno delle anime.

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