Domenica sera al programma tv «Non è l’arena», condotto da Massimo Giletti, due ragazze appena maggiorenni hanno raccontato le violenze che avrebbero subito durante «feste» organizzate a Milano da Alberto Genovese. L’imprenditore è stato arrestato con accuse pesantissime, dopo che un’altra ragazza ha denunciato di essere stata stuprata per venti ore.
Giletti già nella puntata precedente aveva ascoltato sia la prima accusatrice sia le altre due ragazze. Le interviste erano avvenute garantendo l’anonimato: niente nomi, inquadratura di spalle e voci alterate. L’altra sera, invece, due ragazze hanno scelto di rivelare i loro nomi, di offrirsi alle telecamere e di parlare senza camuffamenti. Un atto di grande coraggio e di pari sofferenza.
«Bambine implumi» le ha definite più volte il loro avvocato. E a ragione, perché le immagini hanno rivelato due volti da adolescente, due persone smarrite come bambini nel bosco degli orchi, due ragazze in cerca d’aiuto, come hanno testimoniato le lacrime che invano provavano a trattenere e che la telecamera andava a braccheggiare. Della loro storia, cioè di quello che c’è prima della partecipazione alle feste, non è stato detto nulla e forse è un bene che così sia stato. Si sa solo che una ragazza, bionda e altissima, è di Bari, come s’intuiva anche dall’accento.
Prima di ogni considerazione è bene chiarire un principio: nessuno può costringere una donna a fare sesso contro la sua volontà. Sia che si tratti di moglie, di compagna, di escort, di prostituta, di tossicodipendente.
Allo stesso modo non si può adottare la logica tutta maschilista del «se l’è cercata». Nessuno va a cercarsi uno stupro, né il fatto che una donna vada in giro in minigonna e tacchi a spillo può giustificare o addirittura legittimare violenze, fossero anche solo apprezzamenti volgari e cafoni. Ogni donna si veste e comporta come crede, al pari di ogni uomo. Ciascuno fa i conti con la propria identità e il proprio modo di costruire il suo ruolo nella società.
La questione vera è la decisione delle due ragazze di mostrarsi al pubblico attraverso il mezzo televisivo. Una scelta meditata e coraggiosa, è stato sottolineato più volte. Ma forse non anche consapevole. Perché se da un lato può essere terapeutica, giacché potrebbe permettere di superare il dolore, lo smarrimento, la vergogna, che sono i sentimenti alleati degli stupratori; dall’altro può rinnovare all’infinito il loro calvario fino a renderlo insopportabile. Forse aiuterà tante altre donne a trovare il coraggio perché denuncino a loro volta. Di sicuro, grazie ai social, alle due vittime arriveranno solidarietà e apprezzamenti, ma anche insulti e violenze verbali. Già qualcuno le ha attaccate sostenendo che sono in cerca di notorietà. Ipotesi folle. Però l’esposizione attraverso i media comporta per forza il giudizio pubblico e l’entrata in scena di fattori distorsivi della realtà, come le strategie processuali, l’audience, la ricerca di un ruolo. La gogna mediatica è strumento sempre attivo, per questo codice e penale e codice deontologico difendono l’anonimato di chi subisce violenze sessuali.
Accettando di andare in tv le ragazze hanno fatto una scelta diversa e sicuramente coraggiosa, ma devono sapere quanto sarà dolorosa, perché nessuno risparmierà loro accuse, offese e facili giudizi moralistici. Così come anche, ed è forse l’aspetto peggiore, non riusciranno mai a dimenticare. L’attuale sistema dei media, grazie all’onnipotente memoria di Internet, ricorderà e riproporrà in eterno i loro volti rigati di lacrime e dolore. Dimenticare è il primo passo per ricostruirsi una vita, è l’oblio da tanti ricercato per superare gli errori commessi. A causa della Rete è impossibile.
Dall’intera vicenda emerge una gioventù allo sbando. Tante giovani vanno alle feste non per conoscere gente o divertirsi, ma perché ci sono fiumi di droga gratis a disposizione. Questo non è accettabile e per fortuna durante il programma l’avvocato e lo stesso Giletti l’hanno più volte sottolineato. È il modello del ballo uguale sballo. Chi ti offre la cocaina è pronto a drogarti con la chetamina, la sostanza che toglie volontà e lucidità e che perciò è detta la droga dello stupro, perché a questo serve.
L’altro aspetto è la totale assenza delle famiglie. Le due giovani intervistate vivono ora in casa di un’amica di Genovese e che ha deciso di aiutarle. Dove sono oggi e dove erano ieri i padri, le madri, i nonni, gli zii di queste due ragazze? E dove sono le famiglie delle tante altre donne che frequentano i festini nelle case dei ricchi rampanti di Milano? Eppoi, è credibile che fatti del genere accadano solo nella capitale lombarda o è un rito che ha carnefici e vittime in tante altre città?
Ora un velo è stato sollevato, sarebbe però insopportabile se servisse a lapidare queste due ragazze.