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bepi martellotta
27 Novembre 2020
Da ieri la Puglia è un po’ più giallorossa. Un po’ perché, in realtà, l’accordo tra il gruppo consiliare dei Cinque Stelle e la maggioranza di centrosinistra sulla vicepresidenza del Consiglio regionale non è un vero e proprio «matrimonio» di governo. Ma poco ci manca.
Basterà attendere qualche settimana, se necessario qualche mese (il tempo utile a far stemperare gli animi e appianare gli ultimi ostacoli) e quel «matrimonio» si celebrerà, con l’ingresso in Giunta nella casella lasciata appositamente vuota dal governatore Emiliano, la delega al Welfare. Lui ha fatto la «promessa» e la futura «sposa» è una consigliera dei Cinque Stelle (Barone in pole position). Questo matrimonio, parafrasando Manzoni, «s’ha da fare» a tutti i costi. Perché, come ha ricordato il presidente della Regione il giorno dell’avvio della XI legislatura regionale, lo vuole il premier Conte, lo benedice il reggente del M5S Crimi e il vero «capo politico», il ministro Di Maio. S’ha dare perché a Roma il governo Pd-M5S, nato dall’emergenza, sta reggendo ed è giusto che ci sia in Puglia, anche se nella nostra Regione di emergenza politica o istituzionale non si vedeva nemmeno l’ombra.
La domanda da porsi, infatti, è: a chi serve di più questa alleanza. A Emiliano, eletto - come prevede la legge elettorale regionale che impedisce «anatre zoppe» in Consiglio - con una maggioranza largamente superiore alla minoranza? O ai Cinque Stelle, usciti bastonati dalle urne di settembre dopo le prime ferite prese alle Europee? Chiaro che sia più utile ai pentastellati che al governatore: ai secondi può consentire di conquistare (insieme alle poltrone) quel potere (legislativo o esecutivo) che in Puglia come in altre regioni non sarà più loro consentito, a giudicare dalla perdita di consensi. A Emiliano, invece, serve nella misura in cui potrà ben dire al Governo Conte di essere un’autorevole stampella del modello giallorosso che si vuole portare - dopo Palazzo Chigi e Montecitorio - in tutti i territori.
Sì, ci sono le «convergenze programmatiche» (una volta erano quelle «parallele» di democristiana memoria a imperare in Italia); si ci sono i «punti programmatici» su cui pentastellati e Pd amoreggiano da tempo (l’ambiente, la salute etc.), ma qui in Puglia qualcuno ha mai visto l’ombra di un punto in comune tra il fronte grillino e quello emilianista? E, soprattutto, se non si tratta di poltrone o incarichi istituzionali, che fine hanno fatto le critiche sulla gestione della Xylella, della Tap, dell’Ilva, del piano rifiuti, della sanità etc.? Insomma, cosa è cambiato nel giro di poche settimane dalle invettive che in campagna elettorale i pentastellati rivolgevano al governatore ricandidato?
Come noto il Movimento ha da tempo deciso di cambiare pelle. Iniziò con i «vaffa day» che dovevano far rivoltare il Paese contro i «Palazzi» ed è finito per entrarci, giacca e cravatta, conquistando pezzo dopo pezzo tutti gli incarichi più alti dell’arco costituzionale. Il problema è se, nel frattempo, sono cambiate anche le idee. Perché, a ben vedere, Emiliano non ha affatto cambiato idea non solo negli ultimi 5 anni di legislatura regionale, ma persino da quando nel 2004 fu eletto sindaco di Bari. E, piacciano o meno le «tattiche» con cui coopta nuovi adepti anche da destra, quelle idee è difficile scostarle dalla cultura del centrosinistra o dalla politica perseguita dal Pd (di cui è stato persino fondatore in Puglia). Le idee del M5S pugliese, invece, sono cambiate e se sì quando è accaduto in Puglia, nelle ultime 8 settimane? I 4 consiglieri regionali, da un fronte del loro partito (quello «movimentista») attaccati come traditori e dall’altro (quello «governista»), applauditi come eroi, cosa pensano del Piano Rifiuti, dell’Ilva (sì, la fabbrica che Grillo voleva abbattere per costruire un parco giochi), della gestione dell’emergenza pandemia, del piano di riordino sanitario, delle politiche per i Trasporti o per la Casa, del «reddito di dignità» o degli assegni di cura? E se delle «convergenze programmatiche» si sono manifestate in quale tavolo di confronto sono maturate dopo le urne?
Certo, entrare nei governi significa «sporcarsi le mani» invece di guardare dalla finestra e urlare con maggiore facilità, dalla «comoda» opposizione, tutto il male possibile di chi detiene il potere. Ma ci pare che le decisioni non siano tra il «movimentismo» alla Di Battista e il «governismo» alla Di Maio, tra Grillo che voleva aprire le Camere come «una scatoletta di tonno» e chi, come Fico, oggi ne guida una. Il problema sono le idee. E il rischio che un movimento politico invece di aprire le scatole di tonno, sia diventato il tonno.
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