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Il ricordo
Gianluigi De Vito
27 Novembre 2020
Nessuno avrebbe immaginato che si sarebbe abbattuta un’orgia mediatica. La fine di Maradona è stata «coperta» dal mondo intero come fosse stata quella di un Grande della Storia. Non c’è stato palinsesto tv e home page che non abbiano prima interrotto e poi stravolto la programmazione e la gerarchia dei fatti: la notizia è così carsica da travolgere schemi e confini. E, il giorno dopo, il copione si ripete.
La rappresentazione plastica di quanto la notizia abbia «bucato» il mondo, sono le prime pagine dei giornali da Pechino a New York. «Muore Maradona, un dio del calcio» è la scelta del quotidiano spagnolo El Pais a corredo di una foto di Diego che solleva la coppa del mondo nel 1986 allo stadio Azteca di Città del Messico. «L’idolo che toccò il cielo», campeggia su El Mundo, altro grande quotidiano spagnolo. La narrazione estesa ha toccato ogni angolo del pianeta, anche quella larga fetta di Occidente che usa i guanti per trattare di castristi, chavisti, peronisti di sinistra e nazionalisti anti-Thatcher e anti-Bush. Sulla prima pagina del Time il Pibe alza la Coppa del Mondo del 1986 incorniciato dal titolo: «Milioni di persone piangono Maradona». «Era il Machiavelli del calcio», si spinge Telegraph. L’unico titolo del New York Time, fuori dalla politica e dall’economia, è per «Il genio tormentato del calcio». Non t’aspetti che i quotidiani economici cambino pelle per un giorno e invece anche il Financial Times si occupa del campione argentino. Il giornale tedesco più venduto, Bild: «Maradona nelle mani di Dio». Per l’Equipe, «Dio è morto»: il quotidiano sportivo francese rende omaggio con 20 pagine.
E in Italia? Stesso trattamento, dalle tv alla carta stampata al web. Una vignetta tra le più cliccate è quella nella quale Maradona, con la maglia numero 10 della nazionale argentina, restituisce la mano sinistra al dio amputato che lo accoglie col Bienvenido.
Va lasciata ai massmediologi l’analisi dello tsunami mediatico e ai sociologi il perché nessuno abbia marcato più di tanto il Maradona del peccato. Per carità, non è stata un’informazione zoppa e i vizi di Diego non sono stati sottaciuti. Ma sono finiti nel sottoscala, quasi che in questa spasmodica voglia di miti in un momento in cui non c’è certezza cui aggrapparsi, tutto il male dovesse essere messo in naftalina davanti a’na cosa Grande. Prevale la favola del nato povero diventato povero ricco, del bambino genio del pallone che non si è mai vergognato di calcare i campi di fango (tanto da portare i compagni del Napoli a fare riscaldamento in un parcheggio ad Acerra), la mano de dio che fa gol agli imperialisti inglesi (gol al mondiale 1986), la taumaturgica capacità di rendere felice la Napoli infelice. Insomma, la leggenda del piede sinistro che ha sovvertito pronostici e rovesciato gerarchie calcistiche, piuttosto che la vita nel grigio della droga, i rapporti con la camorra, i figli sparse nati fuori da legami stabili, il fisco italiano evaso per 35milioni di euro.
Sì, è vero, Maradona ha fatto rumore anche quando il lato oscuro sorpassava le acrobazie sul campo. Dopo l’arresto a Napoli, la stampa del mondo offre il suo volto con la barba lunga, gli occhi nel vuoto e lo sguardo d’aiuto: il Re diventa nudo e Diego è Dieguito abbandonato. Ma la «massa» lo ama perché imperfetto come tanti, diavolo più che santo. E per quel senso di libertà che attraverso di lui respira. Adesso la morte. Che cancella tutto, o quasi. E’ la fortuna degli eroi: l’oblio del male, il sopravvento del bene e della speranza. Il semi-dio Achille fa dimenticare tutto, il ritorno a Itaca di Ulisse cancella ogni nefandezza, il poeta e il pittore maledetto sono perdonati. Come tutti i grandi che testimoniano un sogno capace di sovvertire la realtà.
Forse, ciò che spiega meglio il perché di come il racconto mediatico della fine del Pibe sia più di luci che di ombre è spiegato dalle parole di Emmanuel Macron che incarnano il sentimento internazionale: «Il Presidente della Repubblica saluta questo indiscusso dominatore del pallone che i francesi hanno tanto amato. A tutti coloro che hanno risparmiato la paghetta per completare finalmente l'album Panini Mexico 1986 con la sua figurina, a tutti coloro che hanno cercato di negoziare con la propria compagna o col proprio compagno per battezzare il figlio Diego, ai suoi connazionali argentini, ai napoletani che hanno disegnato affreschi degni di Diego Rivera con la sua effige, a tutti gli amanti del calcio, il Presidente della Repubblica rivolge le sue più sentite condoglianze. Diego rimane».
Già, rimarrà. Fino a quando la religione del calcio avrà trovato un altro suo dio.
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