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La questione del gas tra compensi e scompensi

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Presunti reati ambientali in cantieri Tap: 15 indagati

Che sia utile la realizzazione del gasdotto lo dimostra anche o soprattutto il bollettino di news fabbricato dal Mar Mediterraneo

Martedì 17 Novembre 2020, 13:00

Gli antichi romani, che erano tipi assai pratici, prevedevano fior di risarcimenti per quelle popolazioni danneggiate dalle cosiddette immissiones, ossia dalle opere pubbliche che compromettevano il valore d’uso e il valore di scambio delle proprietà private coinvolte. Il discorso non faceva una grinza. Io posso costruire la più sicura diga del mondo, ma i proprietari di case e immobili limitrofi difficilmente riuscirebbero a metterli in vendita per realizzare liquidità, dal momento che nessuno forse si farebbe avanti per l’acquisto. Che si fa, in questo caso, un caso di esproprio ancora più beffardo? Da un lato, infatti, l’edificio accanto alla diga si svaluta automaticamente fino a sfiorare l’illiquidità, dall’altro lato il bene contribuisce a impoverire il proprietario che sul (presunto) cespite continuerà a scucire soldi per le tasse e per la manutenzione. Ecco perché i romani correvano ai ripari rimborsando direttamente, con denaro sonante, i cittadini depauperati.
Anche le famiglie tarantine che risiedono a ridosso del siderurgico avrebbero diritto al medesimo trattamento (risarcitorio). Ma su questo piano non si avverte la dovuta sensibilizzazione. Che valore di mercato hanno, infatti, le abitazioni nei dintorni dell’ex Ilva? Poco o punto.

La questione rimborsi toccava e tocca tuttora anche il territorio del gasdotto Tap. Diciamolo: se in passato i vertici della multinazionale energetica si fossero presentati in Salento e, prima di formalizzare i relativi progetti, avessero illustrato le contropartite, soprattutto cash, a tutte le comunità del territorio interessato dal tracciato, sicuramente avrebbero incontrato minori ostacoli sul loro cammino. È vero che l’opera (sotterranea) non impattava sul paesaggio né presentava controindicazioni sul piano della sicurezza e della salute - dato che tutte le città del mondo, o quasi - crescono su un labirinto di tubi di gas e di prodotti similari. Ma è altrettanto vero che il mercato non ne vuole sapere (di queste garanzie), perché solitamente penalizza (deprezzandole) tutte costruzioni a ridosso di opere pubbliche, spesso anche di quelle non invasive. In casi come questi, gli interventi di ristoro (per usare il termine oggi più di moda) da parte degli investitori, non solo diventano indispensabili, ma addirittura obbligati.

E, comunque, la titubanza nell’affrontare il dossier ristori (nell’area di Melendugno) ha contribuito, probabilmente, a radicalizzare il locale fronte del no al gasdotto, anche se, strada facendo, il tema dei rimborsi è rientrato in agenda.
E qui, adesso, si rischia il cortocircuito. Ormai il Tap è cosa fatta, già nei tubi. Ma sulle compensazioni si gioca a ping-pong. I sindaci giustamente hanno chiesto ristori adeguati. La società formata da Tap e Snam è disposta a trattare, anche se non vuole scendere in campo a tutto braccio braccio, alla maniera di Yannik Sinner, ragazzo prodigio di Ital-tennis. Ma chissà come, chissà perché, non si riesce ad aprire questo benedetto «tavolo», tavolo che, si sa, non si nega a nessuno, nemmeno a una squadretta di dodicenni in lite per il pallone.
Inutile dire che, di questo passo, alzando il muro e rinunciando a discutere e dialogare, si è condannati a perdere tutto. A meno che la renitenza a sedersi attorno al fatidico tavolo non sia figlia di un pregiudizio ideologico che esula da qualunque assegno o carico compensativi. Ma l’ideologia non è mai una brava consigliera. L’ideologia non è mai la via maestra per affrontare e risolvere un inghippo. L’ideologismo è l’antitesi della cultura riformista, che esamina laicamente i progetti senza bocciature preventive, ma solo sulla base di un giudizio di merito, a sua volta fondato su criteri di utilità, fattibilità, economicità, compatibilità eccetera.

Che sia utile la realizzazione del gasdotto lo dimostra anche o soprattutto il bollettino di news fabbricato dal Mar Mediterraneo. L’antico Mare Nostrum si candida a ridiventare il principale oggetto del desiderio tra le superpotenze mondiali. Un tempo il Mediterraneo era una riserva marina dell’Occidente. Oggi fa gola a tutti, da Mosca a Pechino. Non ci vuole molto, vedi la vicenda libica dove il tandem Putin-Erdogan sta imponendosi alla grande, per assistere a un ribaltamento di equilibri e alleanze, con profondi contraccolpi sul terreno dell’energia.
Si potrebbe obiettare che l’Italia non si trova certo in una condizione disperata, in proposito. Ma non si trova neppure in una posizione di autosufficienza a tempo indeterminato. Anzi. E meno un Paese si ritrova autosufficiente in materia energetica, più corre il pericolo di ritrovarsi sotto choc se sul suo itinerario spunta il classico cigno nero. L’esperienza imprevedibile della pandemia, con il numero delle terapie intensive rivelatesi inferiori alle necessità, dovrebbe insegnare qualcosa in merito o, perlomeno, fare da monito.

E così il gas. Non ci vuole molto a ritrovarsi in uno stato di debolezza e sudditanza. E quando ci si ritrova così, addio sovranità, addio futuro, addio libertà, con buona pace di tutti i più accesi nazionalisti in circolazione.
«Un’opera strategica per l’approvigionamento dell’Italia e del Sud Europa»: sono parole di Giuseppe Conte, pronunciate davanti a Donald Trump nel luglio 2018. Sottinteso: l’Italia è la portabandiera del nuovo corso energetico dell’Occidente.
Perché non tenere conto di tutto ciò? Perché non completare l’ultimo step dell’operazione Tap, quello che forse più sta a cuore alle popolazioni salentine, ossia la tappa delle compensazioni? Si discuta e si tratti, ma di sicuro non si comprendono le ragioni per tirarla per le lunghe, o per rinunciarvi autolesionisticamente, in nome di una purezza ideologica che nei fatti si rivela quasi sempre controproducente. Specie per le fasce sociali (di un territorio) più deboli da tutelare.

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