È difficile comprendere perché quando servirebbe che le persone responsabili facciano di tutto per scongiurare il dramma di un nuovo lockdown totale, in Italia si continua a sparare cifre e giudizi a casaccio. La telenovela dei Dpcm di ottobre, appuntamento atteso settimanalmente con ansia e curiosità da milioni di italiani, record di ascolti - tanto che la «stagione» proseguirà a novembre - ha messo in onda un paese senza il cuore di pietra, ipocrita, falso. Il risultato è che ancora nessuno ha ben compreso a chi spetterà far cosa. È certa solo la bandiera bianca alzata sul fronte della prevenzione-repressione che solitamente è l’unica solfa in grado di far ragionare gli italici. Esempio: nel primo sabato in cui erano obbligatorie le mascherine all’aperto, a Bari furono elevate 19 contravvenzioni. Bene, bastava un breve giro per la città affollata per contare 19 a «bocca e naso liberi», in mezzo isolato. E i ristoranti? Quando sono passati, la scorsa primavera, da una timida riapertura alle ballerine sui tavoli, quanti ne sono stati chiusi? Quanti multati?
Tra misteri del virus e misteri italiani, entrambi irrisolvibili, soprattutto i secondi, eccoci ad oggi, tra scaricabarile governo-Comuni, governo-Regioni, Regioni-Comuni, Comuni-Asl. Con il blocco parziale che si materializza quale triste presagio di quello totale che arriverà. A questo ritmo, gli ospedali non reggono. Ma non reggerebbero nemmeno se fossimo il Paese più organizzato del mondo, cioè se governo e Regioni non avessero sbagliato nulla. Ecco, ficchiamocelo in testa, non siamo il Paese più organizzato del mondo. E chi ha avuto la sventura, in Puglia ma non solo, di confrontarsi con i dipartimenti di prevenzione Asl per un tampone, in piena pandemia e dopo che sono inutilmente trascorsi cinque mesi per darsi un briciolo di dignità, paga le spese a caro prezzo.
Ma che non siamo il Paese che sogniamo essere lo dimostra anche il «vorrei ma non posso» che continua ad essere il filo conduttore dei Dpcm, un insieme di obblighi, regole, orari, divieti e tante, ma tante «raccomandazioni» di difficile comprensione. Il «coprifuoco serale», per esempio, sia alle 21 come chiede Conte o alle 18 come rilanciano le Regioni, comporterà un inevitabile aumento degli «assembramenti» nelle ore diurne. Lo stop agli ipermercati nei week end, equivarrà a mega affollamenti il venerdì. E mentre i banchi con le rotelline fanno bella mostra negli scantinati delle scuole, arrivati e stipati, è complicato capire perché i liceali sono a rischio e invece non lo sono gli studenti e i docenti delle medie, delle elementari e delle scuole dell’infanzia.
In tutto questo il commissario Arcuri s’è appellato, «raccomandato» ai medici di base e ai pediatri di libera scelta, promettendo 10 milioni di test molecolari rapidi antigenici per chiunque sappia di aver avuto un contatto stretto con un positivo. Speriamo che arrivino e aiutino ad abbattere l’aumento dei ricoveri, anche se i medici di base, già alle prese con i vaccini antinfluenzali, sono, fatte le debite eccezioni, pressoché scomparsi nel nulla.
Su questa trincea si decide se torneremo ai domiciliari o no. Fermo restando che zone fuori controllo vanno chiuse subito per qualche settimana e vanno vietati gli spostamenti verso aree in cui la situazione è difficile ma non impossibile. Così come non ci si deve vergognare, né rischiare di essere additati come dittatori, se ci si permette di «raccomandare» ai nostri anziani di non uscire di casa per un mesetto, spiegando che può salvare loro la vita e che oggi amore è stare un metro distanti.
In questo quadro assistiamo a un dibattito pubblico che, in una democrazia normale, richiederebbe tso (trattamento sanitario obbligatorio) a raffica per evidenti deficit «neuronici». Qualcuno ha scritto che «politici e amministratori hanno passato l’estate a farci la predica, mentre loro vivevano alla giornata e discettavano di banchi a rotelle». È così. Sarebbero bastate, poche regole ma certe, del resto già previste nello stato di emergenza. Poche regole da far rispettare rigorosamente con le buone o con le cattive. Bastava magari anche riorganizzare, per quanto possibile, in pochi mesi un trasporto pubblico che fa acqua da tutte le parti e un sistema sanitario reso marcio dalle interferenze politiche. Il Covid ebbe pietà di noi e ci ha concesso tempo, l’illuso.
Oggi è molto peggio che a marzo: perché è vero che il virus colpisce duro ma, cifre alla mano, fa meno danni. Oggi è molto peggio perché «dovevamo uscirne migliori» la prima volta, almeno potevamo uscirne uguali. E invece no, ne siamo usciti più idioti.