Triste è tornato il tempo degli eroi. Sono i medici, gli infermieri, i soccorritori, gli uomini e le donne delle forze dell’ordine impegnati in prima linea contro il Covid. Ma con gli eroi sono tornati anche i martiri, come gli anziani morti nelle case di riposo. Siamo ripiombati nell’incubo di sei mesi fa nel volgere di un paio di settimane. Da allora abbiamo imparato poco o nulla. Anche il linguaggio è rimasto lo stesso, mutuato dal lessico bellico: battaglia, trincea, corpo a corpo, guerra, sono i termini ricorrenti nelle cronache giornalistiche e nei talk show, cui ora si è aggiunto «coprifuoco», parola evocativa di tempi tetri e città chiuse.
A ragione si rimprovera al governo di aver fatto ben poco durante l’estate per predisporsi a questa seconda ondata della pandemia. Dai trasporti alla distribuzione dei vaccini antinfluenzali, ai reparti di terapia intensiva tutto è rimasto come prima. I vari ministri, a cominciare dal più interessato, quello alla Sanità, si sono affannati a dirci che l’autunno sarebbe stato difficile. Ma, annunciato il pericolo, ovvero preparato il terreno per poter rivendicare «io l’avevo detto», non è stato fatto nulla.
Anche i ministri economici non hanno brillato. Dei miliardi di cui ci siamo ubriacati non s’è visto nulla. Intere categorie di lavoratori – dalla ristorazione al turismo – sono sul lastrico. Sono disperati e lo sono al punto da contestare chiusure anticipate e ingressi limitati: pronti a trasformarsi in untori pur di salvare un po’ di lavoro.
L’opposizione sta cavalcando l’onda antigovernativa. È naturale. Ma non può bastare per ripulirsi la coscienza, perché anche la triplice alleanza Salvini-Meloni-Berlusconi non ha svolto il suo ruolo di stimolo al governo. Di questa estate si ricorda solo una stucchevole polemica sui banchi scolastici. Un po’ poco per dire di aver fatto il proprio dovere nell’interesse del Paese. La Azzolina come ministro non sarà Giovanni Gentile, ma non si può nemmeno sostenere che la sua rimozione avrebbe salvato l’Italia dal bis del Covid.
A essere onesti, tutti i governanti si sono mostrati impreparati: dalla Francia alla Spagna, alla stessa Germania. Certo, in Italia ci abbiamo aggiunto qualcosa di nostro come lo scontro e le tensioni costanti con le Regioni. E in questi giorni suona beffarda la pubblicità istituzionale in onda sui canali di Stato per celebrare i 50 anni della loro istituzione. Data la situazione si potevano evitare almeno la retorica e i toni trionfalistici. La verità è che questa pandemia ha mostrato che il re è nudo. In Italia come nel resto d’Europa. Alle nuove domande poste dalla collettività alla politica e alla necessità di un rapporto diverso, sono arrivate le vecchie risposte. Se la tecnologia riesce a guardare avanti e ad avere una visione del futuro, la politica cammina – ovunque – con gli occhi all’indietro. L’accelerata al lavoro da casa imposta in primavera, e ora tornato in auge, ha mostrato come la tecnologia fosse pronta da tempo, ma non erano pronte le reti e le organizzazioni degli uffici per far andare davvero lo smart working.
È l’errore ripetuto in estate: guardare solo al presente, appiattirsi sulle esigenze e sugli interventi del momento, senza una visione, senza un orizzonte di lungo periodo. Seguire questa logica porta ad avvitarsi sempre più sui problemi contingenti, senza più riuscire ad alzare lo sguardo verso altri orizzonti. Come si può fare oggi a elaborare strategie per i prossimi anni, se siamo con l’acqua alla gola degli ospedali pieni, della gente che muore e dei negozi in agonia? Ci immergeremo a risolvere i problemi del presente e ancora una volta trascureremo il tempo che verrà.
È la lezione più importante della pandemia. Ma è una lezione che non possiamo continuare a ignorare. In passato gli scienziati avevano avvertito che la promiscuità che si stava creando sul pianeta fra uomini e animali avrebbe potuto scatenare virus letali. È accaduto e di nuovo gli scienziati ci avvertono che il Covid-19 non resterà isolato, ma che dovremo prima o poi fronteggiare altre insidie simili. Però si continua a guardare solo a ciò che è a distanza di naso, a non pensare al domani, con colpevole miopia.
La pandemia ha mostrato con atroce crudezza che è finita l’etica dei nostri padri che puntando sull’avvenire hanno costruito tutto ciò che abbiamo. Non guardare al futuro significa perdere anche il passato, non avere memoria. Papa Giulio II chiamò Michelangelo per farsi realizzare il monumento funebre: sapeva che prima o poi sarebbe passato a miglior vita, ma voleva anche essere ricordato. Grazie alla sua idea di futuro e passato oggi abbiamo un capolavoro come il Mosè. Il modello contemporaneo, invece, è il tutto e subito, l’usa e getta. Dell’Aldilà non si parla neppure, anche il Papa non lo fa più: è il tabù del nostro tempo in cui si comunica non per dire, ma per riempire i vuoti. Ci consoliamo rispolverando la retorica degli eroi: beato il popolo che non ne ha bisogno, sentenziava Brecht. Adesso si capisce bene perché.