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La scommessa di scrivere una nuova pagina di storia

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

Fiera del Levante 2020, Emiliano regala a Conte penna usb con la serie «Vacanze pugliesi»

In un’atmosfera segnata da mascherine e distanziamento, Conte ha parlato della ripartenza del Paese e degli strumenti che il governo e l’Europa stanno mettendo in campo

Sabato 03 Ottobre 2020, 15:45

Con quasi un mese di ritardo sulla data tradizionale e a un’ora insolita, il presidente del Consiglio ha inaugurato l’84esima edizione della Fiera del Levante a Bari. In un’atmosfera segnata da mascherine e distanziamento, Conte ha parlato della ripartenza del Paese e degli strumenti che il governo e l’Europa stanno mettendo in campo.
La Fiera del Levante ha sempre rappresentato il momento della ripartenza, anche se si trattava di quella dopo la pausa estiva.

Dal pulpito di Bari si capiva dove spirava il vento della politica, l’entità della manovra, se l’instabilità delle maggioranze sarebbe sfociata in una crisi. Oggi la ripartenza è un’altra e ben più importante. In questo la scelta caparbia della Fiera del Levante di aprire lo stesso i battenti è un segnale forte di speranza, che arriva dal Sud e che sembra idealmente collegarsi all’identico segnale che parte da un’altra città marinara, Genova, che con altrettanta caparbietà ha voluto tenere il suo Salone nautico. Al di là di quelli che potranno essere i risvolti economici per le due manifestazioni, restano un indiscutibile valore morale, una spinta ad andare avanti e, in qualche modo, un modello per il futuro in cui dovremo necessariamente adattare il nostro stile di vita alla presenza del Covid.

Nel suo discorso Conte ha fatto ampi riferimenti a questa situazione spiegando anche la necessità di prolungare lo stato di emergenza. Parlando di ripartenza si è soffermato a lungo sul Recovery fund, cioè sul «Fondo per la ripresa» messo in piedi dall’Europa e che vede l’Italia come maggiore beneficiaria. Ci sono 209 miliardi a disposizione del nostro Paese per far fronte alla crisi generata dai tre mesi di isolamento e da tutto quello che ha provocato. Si tratta di una grande occasione per dare uno scatto di reni e riportare l’Italia nelle posizioni di testa dell’Europa. Per farlo e quindi spendere al meglio i denari europei occorrono idee chiare, progetti efficaci e uomini adatti. Al momento sembrano merce rara, giacché nella prima ricognizione per mettere a punto il Recovery plan (Piano per la ripresa) ci sono richieste per 610 miliardi, il triplo della cifra disponibile.

Non si stratta solo di un esorbitante sbilancio, ma della spia che non si è capito cosa e come fare. Nei discorsi dei politici tutto passa attraverso il Recovery fund: dalla realizzazione del polo della giustizia a Bari, alla larga banda in tutto il Paese, dalle scuole da sistemare alle linee ferroviarie, ogni cosa – forse anche le panchine nella piazza o i nuovi semafori – si crede che potrà essere finanziata con i fondi europei. Pensare questo è un’enorme sciocchezza. Primo perché l’Europa è stata generosa con l’Italia ma in cambio – come è giusto che sia – chiede che i soldi siano utilizzati al meglio e dunque mai approverà un piano arlecchino; secondo perché sarebbe un delitto nei confronti delle prossime generazioni privarle della possibilità di vivere in un Paese attrezzato per lo sviluppo. Detto in altri termini, il Recovery fund dovrà svolgere lo stesso ruolo che ebbe il Piano Marshall all’indomani della Seconda guerra mondiale.

Sarà molto difficile riuscire, perché si è consolidata nel nostro Paese la logica dei cosiddetti «interventi a pioggia», cioè modeste somme investite in piccoli se non infimi progetti per accontentare tutti, ma che non smuovono nessuno dei grandi blocchi che frenano lo sviluppo. Ne saremo capaci? Se davvero lo vorremo sì, anche se sarà difficile resistere ai richiami delle mille sirene che già sperano di poter mettere le mani sul tesoro europeo. L’obiettivo fa gola a tanti, compresa la criminalità, che si sta già organizzando e che forse è più avanti nella stesura del suo «criminal plan».

La scommessa sul Recovery fund è ancora più importante per il Mezzogiorno, che avrebbe la possibilità di recuperare buona parte dell’enorme ritardo accumulato nei confronti del resto del Paese. Come è stato dimostrato anche durante la pandemia, al Sud non mancano né le volontà né le intelligenze, ma difettano le infrastrutture di ogni tipo. Purtroppo le esperienze recenti non sono incoraggianti. Per tutte basti il caso lucano delle royalty sul petrolio. Tre miliardi di euro versati dall’Eni – 1,5 miliardi solo negli ultimi 10 anni – cui si aggiungeranno ora i diritti pagati dalla Total: tutti utilizzati per una miriade di micro interventi senza un’idea guida, un progetto strategico. La Basilicata è rimasta terra bellissima, ma arretrata e isolata, senza che il prezzo pagato in termini ambientali allo sfruttamento petrolifero si trasformasse in investimento per il futuro.
Alla prossima inaugurazione della Fiera del Levante forse saremo ancora alle prese con mascherine e gel igienizzante, però vorremmo sentire il presidente del Consiglio che annuncia l’avvio dei quattro-cinque progetti che disegneranno l’Italia dei prossimi decenni. Più che una ripartenza, sarebbe bello fosse una nuova pagina di storia in cui si bada ai bisogni di molti piuttosto che ai vantaggi per pochi.

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