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Referendum, ora una spinta per riformare il Belpaese

 
Tonio Tondo

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Tonio Tondo

referendum costituzionale

Con l’attuazione della riforma l’Italia si allinea alle altre democrazie

Martedì 22 Settembre 2020, 17:10

Dopo 35 anni di riunioni e discussioni, tra commissioni parlamentari bicamerali (la prima, nel 1985, presieduta dal liberale on. Bozzi, mentre quella presieduta da Massimo D’Alema, 1997, aveva anticipato grosso modo gli stessi numeri) e gruppi di esperti nominati dai presidenti della Repubblica o del Consiglio dei ministri, gli elettori italiani, sfidando anche il virus Covid-19, hanno approvato con circa il 70 per cento la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e del numero dei senatori da 315 a 200. La riforma, frutto di una sintesi e unificazioni tra diverse proposte di iniziativa Quagliariello, Calderoli, Perilli, Patuanelli e Romeo, approvata in via definitiva dalla Camera l’8 ottobre 2019 con 553 sì, 14 contrari e due astenuti su 569 presenti, modifica gli articoli 56 e 57 della Costituzione che avevano fissato l’attuale numero dei parlamentari con una legge costituzionale del quattro febbraio 1963. Il referendum di conferma era stato richiesto da 71 senatori in base all’articolo 138 della Carta.

Il voto di domenica e ieri ribalta il risultato del referendum del 15 aprile 2016 sul disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi che aveva ridotto il numero dei senatori a 95 mentre il numero nella Camera alta restava inalterato anche se con una rimodulazione consistente delle competenze tra le due Camere. Con l’attuazione della riforma l’Italia si allinea alle altre democrazie. Germania e Gran Bretagna hanno rispettivamente 700 e 650 eletti, la Francia poco meno di 600, gli Usa pur con una popolazione sei volte quella dell’Italia elegge un senato con meno di 100 componenti e una Camera con 400 membri. La riforma diventerà operativa con le prossime elezioni. Il Parlamento dovrà nel frattempo approvare una nuova legge elettorale, ma la riforma costituzionale potrebbe comunque essere applicata in base alla legge n.51 del 27 maggio 2019: è sufficiente anche un Decreto legislativo del governo che stabilisca i nuovi collegi elettorali della Camera e del Senato. In base ai calcoli dei servizi tecnici del Parlamento le nuove rappresentanze sono così riformulate. Camera, un deputato vedrà la sua rappresentanza passare da 96mila a 151.210 cittadini, un senatore da 188.424 a 302.420 abitanti.

Il risultato del referendum segna un passaggio significativo della nostra democrazia e della maturità civile e politica dei nostri concittadini. E rivela una ripresa di fiducia nelle istituzioni politiche e nei gruppi dirigenti dei partiti e movimenti che si sono schierati, malgrado le divisioni interne, per la conferma della legge approvata in quattro sedute, due alla Camera e due al Senato.

Sul primo punto, quello del futuro della democrazia italiana, occorre ritornare un po’ indietro nella nostra storia, alla discussione nell’assemblea costituente proprio sul numero dei parlamentari quando il quattro settembre 1946 il relatore Giovanni Conti ebbe ad affermare: <lo Stato accentratore comporta un Parlamento che si occupa dei minimi particolari della vita nazionale, mentre lo Stato autonomista distribuisce alle regioni gran parte del lavoro legislativo con la conseguenza, generalmente neppure intravista, di un mutamento dei costumi parlamentari…Il Parlamento, quando sarà sgravato da tante competenze, diventerà finalmente quell’alto consesso legislativo al quale accedono i migliori del Paese, e quindi si eleverà di tono>. L’onorevole Conti sottolineò la necessità di ridurre al massimo il numero delle due Camere indicando in una cifra tra 500 e 600 la consistenza degli eletti.

Luigi Einaudi, liberale e democratico, chiosò: <Quanto più è alto il numero dei componenti di una istituzione tanto più essa diventa incapace ad attendere all’opera legislativa che le è demandata. L’autorità di un consesso non dipende da un numero>.
In questa prospettiva il tema della rappresentanza deve essere reimpostato in modo completamente diverso rispetto al dibattito di questi mesi. Non rappresenta di certo un nodo numerico, cioè “minore rappresentanza con un numero più alto di elettori”, ma costituisce la questione centrale del riordino normativo sia delle competenze tra i diversi livelli, dai Comuni alle Regioni, allo Stato e alla stessa Unione europea, sia della amministrazione dei processi adesso segmentati tra i diversi livelli istituzionali quando invece andrebbero definiti in base ai centri di responsabilità più idonei ed efficienti, con procedure coerenti e non frammentate tra funzionari e livelli istituzionali-politici. In questa prospettiva sconforta registrare il diluvio di decreti, dpcm, circolari, ordinanze prodotte da Palazzo Chigi e dai ministeri, che accentrano decisioni e gestione, quasi a contraddire la retorica della innovazione e modernizzazione dello Stato e del sistema politico promesse dalla riforma costituzionale. Eppure, la stessa Presidenza del Consiglio, nelle 40 pagine che accompagnano il progetto di riforma, ha esaltato le sei condizioni fondamentali di una democrazia evoluta e aperta al futuro: partiti e movimenti credibili e aperti, informazione pluralista, forte e indipendente, società civile solida e articolata, istituzioni locali veicolo di partecipazione, autonomie funzionali indipendenti e promozione della democrazia diretta.

Gli italiani che si sono presentati alle urne hanno dimostrato maturità e responsabilità. Una dimostrazione che ribalta la vulgata di un popolo prigioniero di fantasmi ed egoismi. Chiaro l’invito: andate avanti perché l’Italia deve diventare una grande democrazia, giusta ed efficiente, capace di migliorare le condizioni di vita e di libertà dei cittadini e di essere esempio di buon governo a livello europeo e internazionale. E’ .il vero filo profondo della storia degli ultimi 75 anni. E’ inutile il tentativo di utilizzare il voto per i giochi interni di partito e come arma contundente contro nemici e avversari. Se proprio un uso politico deve essere promosso è nei confronti dei nostri amici europei. Ecco, questa è l’Italia delle riforme, di questa Italia si può avere fiducia anche quando dovremo approvare nuovi cambiamenti e progetti per mettere a frutto i soldi promessi dall’Unione.

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