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Il testacoda del fisco che penalizza merito e lavoro

 
Giuseppe de Tomaso

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Giuseppe de Tomaso

Il testacoda del fisco che penalizza merito e lavoro

Ancora una volta, speriamo che l’Europa ci salvi e ci riconduca sulla buona strada

Domenica 24 Maggio 2020, 14:00

Diciamolo. A differenza dell’Olanda calcistica che fu di Johan Cruiff (1947-2016), l’Olanda del primo ministro Mark Rutte non ce ne perdona una. Dipendesse da Amsterdam la Bce non dovrebbe pompare (denaro) più di tanto e l’Europa in genere non dovrebbe scucire più di un euro per gli indebitati Paesi mediterranei. Ma anche l’Italia non ne perdona una ai Paesi Bassi, accusati di brillare in dumping fiscale, anzi di essere un vero e proprio paradiso fiscale. Bum.

È vero. L’Olanda fa concorrenza fiscale (anche) in Europa. Ma non va associata ai paradisi fiscali del Centro America, lavanderie specializzate nel riciclaggio di quattrini sporchi. L’Olanda si limita solo a rendere meno onerosi gli investimenti sul proprio territorio, un po’ come ha fatto l’Italia, su altri campi, vedi la cedolare secca che ha permesso ai fuoriclasse tipo Cristiano Ronaldo di risparmiare sulle tasse facendosi ingaggiare nel Belpaese. E poi, attenzione. Se l’Olanda viene ritenuta un paradiso fiscale significa che il resto d’Europa, tra cui la Penisola, si considera un inferno fiscale.

La verità è che l’Italia, non da oggi, sta procedendo sul filo del rasoio in materia tributaria. L’unica cosa certa, da noi, è che le tasse aumentano sempre e, soprattutto, colpiscono sempre le stesse persone, ossia quelle - spremute come limoni - che già le pagano, mentre metà della popolazione è pressoché esonerata dal dovere di contribuire al bilancio dello stato.
Più gli evasori la fanno franca, dichiarando redditi da miseria africana, più vengono premiati con esenzioni varie, benefit di vario genere e indulgenze di inesauribile fantasia. Chi governa o è complice o è distratto. Ma come è possibile, in nome del principio della progressività fiscale (giusta), ottenere l’effetto contrario, fino al punto di premiare pigri e disonesti e colpire sistematicamente laboriosi e onesti?

Quante volte il popolo degli onesti, specie se dichiara qualche centinaio di euro in più al mese, deve farsi perdonare questo (presunto) benessere che neppure Mao (1890-1976) oggi definirebbe tale? Tutto è più caro per chi nella denuncia dei redditi dichiara qualcosina: dalle tasse universitarie per i figli, ai ticket, alle mense scolastiche, alle addizionali comunali, regionali, provinciali, fino a subire le beffe altrui, pagando la «morosità incolpevole» di chi non lascia gli alloggi, l’evasione incolpevole di chi si fa risultare nullatenente. Ultima la Tari sociale (in realtà a carico di altri) per chi risulta titolare di bassi introiti. Un bonus, quest’ultimo che può essere concesso alle famiglie con l’Isee fino a 20mila euro, e di cui possono beneficiare anche i percettori di reddito e pensione di cittadinanza.

Intendiamoci. La progressività fiscale non va messa in discussione. Ma a patto che sia davvero progressività fiscale, non già progressività nel costo dei servizi, come avviene (Tari sociale) per le bollette di rifiuti e luce. Quante volte, e su quante voci, chi guadagna un po’ di più perché ha lavorato e sgobba di più, deve essere salassato per mantenere quella che si avvia ad essere una società parassita di massa (copyright di Luca Ricolfi)? Magari fosse rispettato il precetto della progressività, che, invece, in un Paese ad alto tasso di evasione fiscale spesso corrisponde all’esatto contrario (i fessi finanziano i furbi). Ma ora si sta superando il segno. Forse non è esagerato parlare di espropriazione dei guadagni realizzati col proprio lavoro o con investimenti frutto di sudati risparmi. Persino Friedrich Engels (1820-1895), che pure non escludeva (anche) l’oppressione fiscale per abbattere la borghesia e statizzare i mezzi di produzione e di scambio, si meraviglierebbe di fronte ai livelli di tassazione punitiva in vigore in Italia contro la parte attiva della sua gente. «Questi governanti, in Italia, vanno più pesanti di come saremmo andati io e Karl», direbbe oggi il filosofo e rivoluzionario anglo-tedesco, amico e finanziatore di Marx (1818-1883).

Ogni tanto, qualcuno rasserena gli animi, escludendo il varo di una patrimoniale. Ma l’Italia è da tempo la terra più fertile di patrimoniali. Ce ne sono così numerose - è sufficiente dare un’occhiata alla busta paga, una volta striminzita ora più lunga di un lenzuolo - che nessuno le conta più, anzi nessuno le ricorda e cita più con il termine appropriato (patrimoniale, appunto). A furia di assuefarsi alla fabbrica di nuove tasse e addizionali, c’è addirittura chi - forse vittima di una variante finanziaria della sindrome di Stoccolma - aspetta l’arrivo della patrimoniale come una liberazione, nella speranza che sia davvero l’ultima stangata e poi basta. Ma perché si possa raggiungere questo obiettivo, si dovrebbe porre un freno alla spesa pubblica. Una parola! L’economista tedesco Adolph Wagner (1835-1917), il cui nome è legato alla legge dell’incremento progressivo della spesa pubblica, ha invece dimostrato - già molti decenni addietro - che più aumentano i redditi (per i cittadini) e le entrate (per lo stato), più aumentano le uscite e le spese dei governi. Ergo, non facciamoci illusioni, specie in Italia, dove l’unico rigore che piace è quello assegnato dall’arbitro di calcio alla squadra per cui tifiamo.

Il secolo scorso si era concluso con la vittoria della società aperta sulla società chiusa. Il secolo in corso sta assistendo alla rivincita della società chiusa sulla società aperta. La politica fiscale costituisce la relativa cartina di tornasole. Della politica fiscale fa parte pure la politica per gli investimenti. Buon senso suggerirebbe che si finanziassero a fondo perduto sole le spese per investimenti, e non quelle per regalìe elettorali, assistenzialismi clientelari e via scialando. Invece, è sempre più irresistibile la tentazione di trasformare la politica, cioè la classe politica, nell’unico vero datore di lavoro in circolazione (ovviamente con tutti i suoi cerchi magici formati da prenditori compiacenti e beneficati).
Conclusione. Gli espropri provocati dalla voracità fiscale rischiano di trasformare la nazione più dotata di geni imprenditoriali in una nazione affollata di mantenuti, con finti salari, finti lavori e finti imprenditori (ma veri prenditori).

Ancora una volta, speriamo che l’Europa ci salvi e ci riconduca sulla buona strada.

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