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La partita tra Stato, società e persone

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Governo

Ma cosa accadrà prossimamente quando la pandemia avrà cessato di sconvolgere la vita della gente e, si presume, il genere umano potrà tirare un sospiro di sollievo?

Martedì 28 Aprile 2020, 15:42

15:43

Dalla crisi in atto uscirà più forte lo Stato o la persona? La fine della seconda guerra mondiale segnò, almeno in parte, la vittoria della liberaldemocrazia sullo Stato factotum, cioè la rivincita dell’individuo sull’autoritarismo. Ma cosa accadrà prossimamente quando la pandemia avrà cessato di sconvolgere la vita della gente e, si presume, il genere umano potrà tirare un sospiro di sollievo? Si tornerà ai ritmi, ai modelli del recente passato, o i rapporti di forza tra Stato e cittadini risulteranno strutturalmente modificati? Difficile fare previsioni, ma è indubbio che l’emergenza da coronavirus abbia fatto salire alle stelle, dappertutto, le quotazioni dello Stato nelle varie Borse del Potere. In Italia, ma anche in Europa, lo Stato già da tempo appariva sempre più invadente nella vita privata e nelle scelte delle persone, con una burocrazia più virale e capillare della xylella in Puglia La legislazione emergenziale, alimentata dalle politiche di contrasto al morbo partito dalla Cina, rischia di rendere, per così dire, ancora più sistemica e asfissiante una presenza che, a lungo andare, potrebbe ribaltare la gerarchia auspicata da Aldo Moro (1916-1978). Per lo statista pugliese la persona viene prima dello Stato e la politica non è tutto. In prospettiva lo Stato attuale potrebbe annullare, o ridimensionare, la persona, nel segno della politica su tutto.

Non è un discorso astratto, semmai concreto. Il rapporto tra Stato e persona ha monopolizzato lo scontro politico nel secolo scorso. Che cos’erano il fascismo e il comunismo, sia pure in forme differenti, se non l’esaltazione del primato dello Stato su ogni essere umano? E che cos’erano le opposizioni democratiche se non la tribuna a disposizione di ogni individuo per difendersi dalle prevaricazioni dei dittatori del momento?
Scriveva Carlo Rosselli (1899-1937), il socialista liberale che pagò con la vita (fu ucciso da sicari fascisti) la sua intransigenza (innanzitutto morale) contro il regime mussoliniano: «Vi è un mostro nel mondo moderno - lo Stato - che sta divorando la società. Questo Stato bisogna abbatterlo. La rivoluzione italiana, se non vorrà degenerare in nuova statolatria, in più feroce barbarie, dovrà fare risorgere la società, federazione di associazioni quanto più libere e varie possibili. Avremo bisogno anche domani di un’amministrazione centrale, di un governo, ma così l’una come l’altro saranno agli ordini della società e non viceversa. L’uomo è il fine. Non lo Stato».

Il timore di un intellettuale come Rosselli era che lo Stato moderno, anche dopo l’eclissi del fenomeno fascista, fosse governato da leggi che consentissero agli stessi uomini di dominare sugli altri uomini.

Le crisi economiche solitamente tendono a moltiplicare i gangli degli apparati pubblici, dato che l’intervento salvifico dello Stato è invocato pressoché da tutti. Infatti, non ci sono eccezioni. Se l’Italia è con la Francia la nazione dove più massiccia è l’azione dello stato in economia, la stessa Germania non può definirsi una nazione a economia totalmente libera. Anzi. Colà, il sistema pensionistico è statale. il sistema educativo idem, il mercato del lavoro è regolato dallo Stato e dai sindacati, la pressione fiscale non è leggera, l’industria energetica fa riferimento allo Stato, almeno 100mila aziende sono di proprietà pubblica...

Anche negli Stati Uniti, la terra che più evoca scenari liberisti, nulla è, e sarà, più come prima. Cresce il pressing per una funzione più incisiva dello Stato nell’economia, pressing che, in verità, si era fatto più insistente negli ultimi anni, soprattutto dopo l’acuirsi delle disuguaglianze sociali.

Ma la necessità di definire al meglio i confini e l’equilibrio dei poteri tra Stato, società e individui, è un tema più squisitamente europeo e italiano in particolare. Il pericolo è che sotto le sembianze di uno Stato innalzato a divinità ri-prenda il sopravvento (stavolta a oltranza) un «clero» di tipo burocratico più fondamentalista di una teocrazia talebana, un clero burocratico che contrasterà la società aperta con una forza superiore a quella espressa dal clero religioso francese fino alla rivoluzione del 1789.
Se così fosse, i margini di libertà personale si restringerebbero sensibilmente, in automatico, quasi per inerzia. Il che frenerebbe sul nascere ogni proposito, ogni spiraglio di ripartenza economica, visto che fu la religione della libertà, non dello statalismo, a creare le condizioni, 75 anni fa, per la ricostruzione dell’Italia e dell’Europa in tempi ultra-veloci.
Non è facile trovare l’equilibrio tra stato, società e persona. Ma se fossero capovolte le precedenze, le priorità di tempi e funzioni, entreremmo in una fase dallo sbocco poco rassicurante. Tutti asserviti allo stato padrone, tutti sudditi del potere politico-burocratico, anche se, ovviamente, sotto accusa finirebbe il solito famigerato liberismo, tanto famigerato che, oggi, solo le attività private, con i loro vertici e dipendenti, si ritrovano con l’acqua alla gola. Chi lavora per le aziende e gli uffici pubblici di sicuro sta molto meglio.

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