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La pirateria contro i giornali, una ferita alla democrazia

 
Giuseppe de Tomaso

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Giuseppe de Tomaso

La pirateria contro i giornali una ferita alla democrazia

Eppure, nonostante le buone intenzioni, colpire i pirati dei giornali è più complicato che dare la caccia ai corsari dei mari

Domenica 26 Aprile 2020, 14:26

Settimo, non rubare. Non si capisce perché questo comandamento, l’unico forse a mettere d’accordo cristiani e atei, non debba valere per il mondo dell’editoria, e dei giornali in particolare, che possono essere saccheggiati senza pietà, nell’indifferenza generale. Non solo. Ai giornali di carta succede pure di subire una sorte simile a quella del coniuge prima cornificato e poi mazziato. Infatti, oltre a essere derubati, i quotidiani devono costantemente sorbirsi la lezione di chi pontifica sul superamento del giornalismo tradizionale e sulle sorti magnifiche e progressive del sistema internettiano. Perbacco.

Sta di fatto che la Rete non dev’essere così forte e irresistibile se non può fare a meno di «piratare» le testate giornalistiche, piazzandole gratis attraverso le sigle sul web. E il diritto d’autore? E il lavoro di giornalisti e poligrafici? E la situazione reale delle copie lette? E la fotografia della diffusione delle testate? Tutto saltato per aria.

Eppure, nonostante le buone intenzioni, colpire i pirati dei giornali è più complicato che dare la caccia ai corsari dei mari. L’altro ieri, l’Agcom ha dato un segnale incoraggiante, rimuovendo sette canali di Telegram, la piattaforma (non è l’unica) che pubblica le edizioni (digitali) di quotidiani e periodici cartacei, assestando colpi da ko all’intera industria editoriale. Ma la partita è ancora lunga, anche perché la società reproba ha sede a Dubai e non è semplice chiamarla a rispondere.

Il coronavirus, ovviamente, ci ha messo del suo, nel penalizzare i giornali. Non solo ha scoraggiato molte persone dall’uscire di casa. Non solo ha indotto parecchie edicole a chiudere volontariamente in via precauzionale, per ragioni sanitarie. Non solo ha portato alcuni sindaci, in preda a delirio di onnipotenza, a violare il decreto del governo che, invece, lasciava e lascia aperte le edicole e le farmacie nel periodo di pandemia.

Ma da quando è scoppiata l’emergenza coronavirus, gli iscritti ai canali che regalano le copie dei giornali si sono moltiplicati come conigli: +7% a febbraio, +20% a marzo, +46% nei primi giorni da aprile. Di questo passo i lettori aumenteranno a oltranza e raggiungeranno vette impensabili, a scapito degli acquirenti. Ma siccome nessun pasto è gratis, e siccome, senza acquirenti, neppure un genio del marketing resterebbe sulla scena, succede che i bilanci delle aziende editoriali stiano soffrendo le pene dell’inferno, mentre altrove c’è chi fa festa per il capitale e il lavoro (altrui) depredati e messi a reddito.
Davvero paradossale e sconcertante, per non dire di peggio. Forse i giornali non hanno mai collezionato tanti lettori come adesso, eppure risultano più in crisi dell’attuale industria petrolifera, dal momento che, purtroppo, il numero in crescita di chi legge è sconfessato dal numero in decrescita di chi compra (perché sedotto a costo zero dai pirati della Rete).

Se poi ai pirati di carriera si aggiungono i pirati di complemento, ossia le rassegne stampa digitali regalate da questa o quella istituzione pubblica, il quadro dello scempio è completo: un danno inestimabile, di miliardi di euro per l’intero settore editoriale, vuoi per le copie non vendute, vuoi per il calo della pubblicità a causa della minore diffusione. Hai voglia a far notare che, anche se risulta il contrario, i lettori sono in aumento (perché andrebbero calcolati quelli clandestini); che i ladri telematici di giornali fanno concorrenza (rapina) alle edicole tradizionali; che le stesse edicole televisive diffondono, vendono gratis, ogni mattina, l’informazione raccolta dai quotidiani. Nulla da fare. I numeri sono i numeri, e i contratti pubblicitari si stipulano sui numeri ufficiali delle copie vendute e lette, a dispetto dei numeri veri, sensibilmente migliori. Di conseguenza, giornali beffati e uccellati.
Ma di questo passo, per colpa di una Razza Predona non sufficientemente e doverosamente contrastata, rischia l’eutanasia non solo lo strumento (la stampa) che ha caratterizzato, più dei partiti politici, la formazione di una moderna opinione pubblica. Rischia l’eutanasia la stessa organizzazione democratica di uno Stato.

Diversamente dalla democrazia degli antichi, la democrazia moderna non è il governo del popolo. È, invece, il controllo del popolo sul governo. E chi può svolgere il compito essenziale di controllore dei governi se non l’informazione prodotta dai giornali? Si obietta: c’è la Rete, può essere lei a esercitare la funzione di sentinella del Potere.

La Rete? Ma la Rete è un vero ipermercato, anzi un suk, di conflitti di interesse. Basti pensare che sui social imperversano i politici e tutti i detentori di cariche pubbliche, che hanno trasformato il web in un parlamento parallelo. Non a caso, l’occupazione e la preoccupazione di molti leader consistono, ogni giorno, nel tweet più efficace da lanciare, nella migliore pagina Facebook da riempire, anziché nel discorso più razionale da pronunciare o nel provvedimento più sensato da proporre.

Non è esagerato sostenere che i social stiano esautorando le istituzioni ufficiali con la benevola e compiaciuta complicità dei titolari delle medesime istituzioni canoniche, codificate in Costituzione. Un’opera di erosione della democrazia liberale che è parallela alla razzia messa in atto da certe piattaforme on line nel mondo della stampa tradizionale.

Non basta affidare ad Agcom l’incarico di ripristinare la legalità, anche perché ci vorrebbe una norma ad hoc anche per questo obiettivo. Né è sufficiente affidarsi al soccorso legislativo, se e quando ci sarà. Servirebbe, serve, quella che un tempo si definiva presa di coscienza, piena consapevolezza del problema. La classe politica deve rendersi conto che il tramonto dei giornali, peraltro provocato non tanto da verdetti di mercato, quanto da devastazioni piratesche, significa accelerare il tramonto della democrazia e della libertà. Un epilogo che non garantirebbe nessuno tra i rappresentanti del popolo.

Ecco perché, innanzitutto per ragioni di giustizia, è sempre più indispensabile un’opera risarcitoria nei riguardi della stampa, la cui funzione di libertà è stabilita in Costituzione, non in un salotto televisivo o in una chat sulla Rete. Lo Stato dovrebbe, deve farsi carico - sostenendo materialmente, come ha già fatto in passato con finanziamenti mirati, il settore editoriale -, del destino dell’informazione giornalistica. Anche perché non può, non deve disinteressarsi del destino della libertà, che lo strapotere di Internet sta rimettendo a rischio come neppure il più pessimista tra gli analisti avrebbe immaginato.

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