Stiamo asssitendo alla tradizionale manfrina del bicchiere fra mezzo pieno e mezzo vuoto con cui maggioranza e opposizione hanno valutato la conclusione del Consiglio dei ministri finanziari di giovedì scorso: si passa dal “confortante risultato”, della prima, alla “desolante Caporetto”, della seconda. L’equilibrio dei giudizi, nel nostro pittoresco Paese, somiglia a quello di un ubriaco lungo una linea ideale del suo cammino. Probabilmente il risultato dell’incontro-scontro prodottosi può qualificarsi almeno come un pareggio. Cerchiamo di fare il punto dopo il compromesso raggiunto in Europa.
Pareggio. Infatti, non ci sono gli “eurobond” mentre il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) - peraltro di uso facoltativo e limitato alle spese sanitarie dirette e indirette con un finanziamento di 240 miliardi (nella sua sottolinea di credito “Pandemic Crisis Suppport”) - è stato privato dal commissariamento cui era sottoposto lo Stato che ne avesse richiesto l’utilizzazione (come in Grecia): continuare a demonizzarlo risulta francamente incomprensibile e comunque nessuno sarà obbligato a farvi ricorso. La Banca Europea per gli Investimenti disporrà sosterrà finanziamenti di 200 miliardi soprattutto per le Piccole e Medie Imprese, 100 miliardi sono previsti per il programma SURE anti-disoccupazione e 37 ulteriori miliardi per la politica di coesione. C'è, ed è interessante, anche l'impegno a lavorare ad un Fondo per la ripresa economica (Recovery Fund) da 500 miliardi per sostenere la ripresa attraverso solidarietà e coesione; ora la battaglia sarà su come finanziarlo, se con bond comuni o altri strumenti, e su come fornirgli un’identità chiaramente “europeista”. Questo ed altri strumenti finanziari innovativi, peraltro, non sappiamo ancora con quale tempistica saranno attivati.
A dirla tutta, ci troviamo in realtà di fronte ad un giudizio che deve essere ancora, almeno in parte, sospeso poiché il quadro definitivo sarà espresso solo nel Consiglio europeo della prossima settimana. Per il momento si tratta di interventi significativi che si aggiungono ai fondamentali 750 miliardi della BCE per l’acquisto di titoli di Stato dei quali 220 per l’Italia con il conseguente accesso facile e a basso costo al mercato finanziario, al recupero a nostro favore di 11 miliardi dei Fondi strutturali, alla sospensione del Patto di stabilità e quindi dei limiti di spesa derivanti dai parametri di Maastricht, al ridimensionamento del divieto degli aiuti di Stato ed alla flessibilità nella disciplina degli appalti pubblici. Nel complesso, viene mobilitato, per la prima volta, un rilevante pacchetto di circa 1000 miliardi di euro. La lunga e vera battaglia da compiere sganciandoci dalla facile propaganda verterà soprattutto sull’entità del nuovo bilancio pluriennale (attualmente fissato ad un misero 1% del PIL europeo) e su di una nuova fiscalità comune.
Ciò detto, sarebbe bene finirla con gli equivoci, scusabili se derivanti da scarsa conoscenza ma meschini quando dettati da desolante propaganda. Cerchiamo allora di essere precisi quando parliamo di Europa (o meglio, di Unione europea). Questa, va ricordato, è formata soprattutto dalle sue istituzioni politiche sovranazionali quali sono la Commissione ed il Parlamento. Accanto ad esse, tuttavia, si affiancano i due Consigli, quello europeo (e non “d’Europa”, che è altra organizzazione) formato dai Capi di Stato o di governo (e cioè dal vertice politico) e quello “dei ministri”, composto dai singoli responsabili dei dicasteri in funzione della loro competenza. Entrambe queste ultime istituzioni sono diretta espressione degli Stati nazionali e ne rappresentano i vari egoismi “sovranisti”. Il problema è che, negli attuali equilibri istituzionali, per le decisioni più importanti, come il bilancio o l’attuale vicenda degli euro o corona bonds, i poteri sono in mano ai governi nazionali ed alla possibilità per ciascuno di essi (a partire da Malta e Lussemburgo) di porre il veto. E’ chiaro, quindi, che l’Europa vive la perenne contraddizione di una grandiosa realtà di integrazione e solidarietà sottoposta tuttavia al pesante condizionamento degli egoismi nazionali. E’ come una Ferrari il cui motore possente fosse bloccato da un limite di velocità “cittadino”. E mi pare abbastanza singolare che da forze politiche ideologicamente basate sul “sovranismo” ci si meravigli delle conseguenze prodotte sul funzionamento dell’Unione da parte degli altri “sovranismi”.
Dispiace, allora, che la cancelliera Merkel non colga l’occasione di spendere l’ultima parte della sua vita politica nell’aprire la strada ad interventi veramente innovativi e coraggiosi, come pur sollecitata da autorevole stampa tedesca quale il Der Spiegel. La nascita di Eurobond non avrebbe solo un significativo impatto economico ma costituirebbe una importante coinvolgimento e immedesimazione dei cittadini nel progetto europeo.
È giunto il momento di comprendere che l’unica via d’uscita dal pericoloso stallo in cui versa l’integrazione europea consiste nella eliminazione della caratteristica di “Giano bifronte” dell’attuale Unione. Si tratta di costruire una realtà meno contraddittoria e pienamente sintonizzata sulle ineludibili e improrogabili necessità della odierna società globalizzata. Certo, attualmente fra un’Europa limitata, come l’attuale, e la “non Europa”, irresponsabilmente evocata da qualcuno, esiste solo l’abisso del fallimento. Ciò non toglie che bisogna lavorare per scenari radicalmente diversi partendo da quei Paesi membri, in gran parte meridionali e molto importanti, orientati a recuperare lo spirito originario del sogno europeo. L’interesse a tale obiettivo appartiene a tutti, sia del Nord che del Sud continentale, ed è quindi il tempo di togliere il freno o il limite di velocità alla “Ferrari” europea lasciandone esprimere tutta la potenza dei cavalli del suo motore.