Sabato 06 Settembre 2025 | 16:39

Allo stadio o al cinema mai più vicini vicini

 
Gianluigi De Vito

Reporter:

Gianluigi De Vito

stadio di Bari

Mai più vicini vicini. Niente sarà più come prima perché non torneremo più alla normalità ante-Covid.

Venerdì 03 Aprile 2020, 15:38

Mai più vicini vicini. Niente sarà più come prima perché non torneremo più alla normalità ante-Covid. Profezia facile, nemmeno troppo originale. Ma è bene immaginarlo lo scenario della possibile ripresa, dall’ameno mondo del pallone, che rotolerà con o senza i cori, agli applausi quasi sordi dei pochi intimi a teatro, ai pop corn monoporzione nelle poltrone di single del multisala.

L’Italia dello sport e dello spettacolo smontate dal virus pensano al dopo pandemia mentre sono ancora in codice rosso. Eppure, si dividono lo stesso, tra il «ritorno a passo svelto» e l’«adagio ma non troppo».

La verità è che non c’è fetta di Belpaese che non sia ancora sigillata nella paura. E sia pure scalpiti per un’altra vita possibile rispetto a quella del carcere domiciliare in case divenute grotte postmoderne, sa bene che il «come» e il «quando» accadrà il ritorno alla normalità sono scritte nella liturgia del «Punto delle 18», il rito quotidiano della Protezione civile che fa la conta di morti e guariti, di scenari e prescrizioni, senza troppo aiutare una collettività aggrappata a statistiche e rosari.

Chi regge le fila del «pluriverso» sportivo, dalla Fifa al Cio, e cioè dal pallone alle Olimpiadi, sia pure lacerato da contraddizioni, va avanti come se il dopovirus non fosse un dopoguerra. E invece le macerie sono davanti agli occhi assieme ai morti. L’Italia dello sport-spettacolo (non quello della pratica sportiva che è salute) proietta come nemico da abbattere lo tsumami economico e la necessità di rigonfiare l’industria degli incassi il cui indotto – va detto – sfama più di quanto si possa immaginare.

Il pressing per riaprire tutto, giustificato come misura anticrisi, sembra non scacciare ogni guaio. Una ripresa delle partite con ingressi allo stadio contingentati? Mah. Sarà pure vero che il seggiolino numerato garantisce il «distanziamento sociale» con il quale conviveremo a lungo e per ogni dove. Ma non scongiura contatti, quindi contagi, né assicura entrate generose, visto che l’afflusso limitato non porterebbe i ricavi necessari. Anche le piscine con un nuotatore a «corsia» potrebbero essere una soluzione più dannosa del male, visto che riscaldare e sanificare un impianto ha costi difficili da pareggiare. E il discorso potrebbe essere allargato ad altri contesti così come ad altri luoghi di intrattenimento e di svago. E poi, non da ultima, c’è la salute dell’atleta, dell’attore, dell’artista e di quanti vi gravitano attorno.

Sport e spettacoli portano con sé riti sociali, rituali collettivi e intrecci di corpi e movimenti difficili da affrancare dai rischi e dalla paura. D’altra parte è storia di ieri l’altro: Atalanta-Valencia del 19 febbraio per gli ottavi di andata di Champions a San Siro è stata un detonatore di contagi. E così altre partite e gare di altri sport.

Quand’anche dovessimo riaprire i bar in mascherina, sarà come al supermercato. La Peste Rossa ha riscritto l’alfabeto emotivo e il caffè non sarà più corretto dalla chiacchiera ravvicinata, ma sospeso a metà strada tra il bancone e l’altro cliente: mai più vicini vicini, perché la Zona Rossa ci ha colpito al petto, l’angoscia è entrata nel corredo dei nostri cromosomi e i due metri di distanza nella pedagogia del corpo.

E allora? Inutile accorciare i tempi e rompere lo scudo del distanziamento. Perché sia pure dilaghi col freddo e freni col caldo, Covid 19 non fa sconti e un suo ritorno dopo il primo round pandemico, deve fare paura allo stesso modo, tanto a maggio quanto a settembre. Congelare uno spicchio di mondo, come quello sportivo e dello spettacolo, è pesante, ma se è il prezzo che il principio di massima precauzione impone, allora, questo prezzo va pagato e basta.

Non si tratta di cedere alla paura. Anzi. La paura serve: solo il timore di qualcosa ci induce ad essere cauti. Non paralizza, non intralcia le mosse, le fa più precise ed efficaci perché scuote e suggerisce accorgimenti e prudenze.

Senza pallone e spettacolo ancora per mesi si può e si deve. E non solo perché potrebbe essere ancora una volta un decreto del presidente del consiglio a imporlo; piuttosto perché si deve ragionare e non delirare. Eccessiva restrizione del diritto? Ma - per dirla con le parole del presidente emerito della Corte Costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, «quale diritto è più fondamentale del diritto di tutti alla salute e alla vita?».

Sì, vinceremo, e non è retorico l’andrà tutto bene. A patto di negoziare il nuovo mondo tracciato dal dopovirus con intelligenza e umiltà: il senso della vita riguarda tutti e non può essere misurato dai diritti del calcio Tv e dai bilanci dei club o calcolato dal crac degli incassi in sala. Almeno non per ora.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)