Sabato 06 Settembre 2025 | 16:39

Italia spopolata, il Sud non fa figli, giù l’economia (e la demografia)

 
Gianpaolo Balsamo

Reporter:

Gianpaolo Balsamo

culle vuote, pochi neonati

I dati poco confortanti dell'Istat: prima quelli sulla caduta della produzione industriale, poi le cifre sconfortanti sull’inverno demografico con l’ulteriore calo dei nati

Mercoledì 12 Febbraio 2020, 17:03

In due giorni l’Istituto nazionale di statistica ci ha fornito le cifre della grave crisi del nostro Paese. Prima, i dati sulla caduta della produzione industriale nel 2019 (-1,3 per cento), poi ieri le cifre sconfortanti sull’inverno demografico sempre più grave con l’ulteriore calo dei nati (435mila nascite, il dato più pesante in un secolo di rilevazioni). Conseguenza: ulteriore crollo anche dei residenti (-116mila) perché i decessi nel 2019 sono stati 647mila. Inalterato il tasso di fecondità delle donne rispetto al 2018: l’1,29 per cento mentre dovrebbe aggirarsi attorno al 2 per cento per avere un ricambio naturale delle generazioni tale da garantire un equilibrio demografico. In un Paese con una classe dirigente, non solo politica, più seria e responsabile dovrebbe essere aperto a tutti i livelli un grande dibattito sul declino dell’Italia e della sua missione di popolo in Europa e nel mondo.

Un dibattito non da salotto televisivo, dominato e invaso continuamente da una retorica semplificatrice e superficiale. Né il confronto dovrebbe essere delegato solo ai pochi demografi che da almeno 20 anni, alle prese con numeri sempre più espressivi, ci avvertono sui gravi rischi per l’Italia.
Crisi economica e demografia sono quindi strettamente intrecciate. Le persone giovani, molte di più rispetto al passato grazie ai trasporti più rapidi e meno costosi, si spostano alla ricerca di opportunità per rispondere alle proprie motivazioni ed aspirazioni. Chi abbandona la casa dei genitori provocando vuoti e a volte lacerazioni nelle famiglie e nelle comunità lo fa non solo per una ricerca <quantitativa>, cioè solo per ottenere un salario o una retribuzione più alta. No, la domanda è soprattutto <qualitativa>, un mix tra la ricerca di entrate dignitose per sé e la famiglia nuova e uno stile di vita civile e moralmente stimolante. L’integrazione dell’Unione europea, le armonizzazioni in atto da decenni sia nelle istituzioni statali e territoriali, sono il risultato di questi movimenti <qualitativi>, cioè esistenziali e rivolti al futuro. Non è vero che l’Europa è in mano ai burocrati del potere, l’Europa la stanno edificando le nuove classi dirigenti nelle professioni e nelle manifatture. La polemica politica italiana, sempre più rinchiusa e ringhiosa nei piccoli recinti provinciali, si attarda con miopia sul tema dell’immigrazione, quando l’Italia, almeno gran parte dell’Italia, non è più attraente come un tempo, e invece dovrebbe impegnarsi a studiare le diverse sfaccettature di una recessione sempre più integrata nei nessi causali e nelle conseguenze.
Nel 2018 un rapporto della Banca d’Italia sulle prospettive demografiche ha rivelato che tra 30-40 anni avremo 4,5 milioni di abitanti in meno. Quasi tutti concentrati nelle regioni del Sud. Quello che viviamo visitando i centri medi e piccoli delle nostre province, cioè l’aumento crescente delle case disabitate e in vendita, è solo l’inizio del processo di desertificazione. Il Sud, così continuando, dovrà affrontare un lungo e mortificante viaggio di impoverimento sociale, economico ed antropologico. Già oggi ci sono paesini nei quali si fa festa quando nasce un bambino e si prega perché le coppie giovani non abbandonino le comunità originarie. Eppure, di tutto questo ci interessiamo poco, anche noi giornalisti, mentre le stesse università dovrebbero rafforzare i gruppi di ricerca sociale per aiutare le comunità a cercare ed elaborare nuove strade percorribili.

L’istituto Giuseppe Toniolo di Milano da anni è impegnato nello studio del fenomeno. In un rapporto del 2018 si mettono a fuoco comportamenti, motivazioni e aspirazioni. In un clima di aspettative crescenti solo le opportunità sono <attrazione> dei giovani intraprendenti. In un’Italia dove da molto tempo è in crisi l’idea di un futuro migliore, esclusi alcuni sistemi locali come Bolzano, Trento, Milano e l’Emilia, i giovani più intraprendenti, soprattutto i più istruiti, si mettono in marcia. Nella testa di questi giovani, avvertono i ricercatori dell’istituto, l’idea del figlio e dei figli è abbastanza remota. Solo una parte della fascia tra 24 e 30 anni aspira a una famiglia con uno o due figli, ed è la parte più istruita. Le donne che desiderano la famiglia con figli sono quelle con maggiori capacità di autonomia perché l’Italia diffusa, purtroppo, non dimostra di essere pronta a considerare i bambini una ricchezza collettiva e non solo privata delle famiglie. Anzi, in molte aziende si continua a coltivare una freddezza, se non ostilità, nei confronti delle donne che lasciano momentaneamente il lavoro per maternità.
L’Italia e il Mezzogiorno, destinato a fare da agnello sacrificale, non possono salvarsi con risposte burocratiche e assistenziali. In Europa, con qualcosa di più di 5 milioni di nascita all’anno, ci sono tre gruppi di Paesi dal punto di vista demografico. Un gruppo ha raggiunto un tasso di fecondità intorno al 2 per cento, un secondo gruppo intermedio è sul 1,7-1,8, il terzo in basso vede l’Italia all’ultimo posto. La Germania negli ultimi 5 anni ha registrato una crescita della fecondità del 15 per cento, Francia e Regno si muovono su valori di crescita demografica. L’Italia continua a impoverirsi. E questo, avverte il demografo Alessandro Rosina dell’università cattolica di Milano è un «impoverimento dal basso», provocato da noi stessi e non dai manovratori dell’economia globale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)