Dopo quaranta giorni di scioperi, Emmanuel Macron ha provato a siglare una tregua coi sindacati francesi. Il risultato è lo stralcio dalla riforma previdenziale di uno dei suoi aspetti più controversi ma pure più rilevanti, sia sul piano finanziario che su quello simbolico: l’innalzamento dell’età di pensionamento.
L’inquilino dell’Eliseo era stato attento a non entrare direttamente nella discussione, lasciando spazio al suo primo ministro Edouard Philippe. In un Paese fortemente sindacalizzato come la Francia, approvare un’equivalente della legge Fornero si è rivelato un calvario.
Il compromesso di Macron potrebbe avere ripercussioni rilevanti anche fuori dai confini francesi. Nell’Europa di oggi, egli è infatti la figura che incarna l’alternativa ai populismi. Questi ultimi hanno caratteristiche assai diverse a seconda della collocazione sull’asse destra-sinistra e del Paese nel quale mettono radici. Sono però uniti dal rigetto dei vecchi establishment. Questi establishment, negli ultimi anni, hanno fatto leva sulla “competenza” per rivendicare legittimità. In un mondo sempre più complesso, in cui gli effetti delle decisioni sono sempre più difficili da stimare, chi governa deve sapere attivare tutta una serie di conoscenze difficilmente disponibili agli elettori.
E’ così che entrano in gioco i cosiddetti “esperti”. Affidarsi a un “esperto” per prendere una decisione è abbastanza normale. Lo facciamo tutti, quotidianamente: per andare al ristorante compulsiamo una guida, se non ci sentiamo bene consultiamo un medico. C’è però differenza fra una situazione nella quale chi deve compiere una decisione può scegliere se e come avvalersi di un “esperto” e una situazione nella quale gli esperti decidono per lui. Ciò può avvenire perché il singolo ha scelto, da principio, di affidarvicisi (ad esempio perché ha aderito a una certa religione) o semplicemente perché è venuto al mondo in un determinato territorio. Questo monopolio può essere “temperato” dalla concorrenza elettorale. In una democrazia matura, chi sceglie fra due partiti sceglie anche fra due “set” di esperti: per dire, quelli più vicini al Partito democratico oppure quelli più vicini al Partito repubblicano.
Negli ultimi anni, l’insorgere dei populismi ha dato l’impressione che la scelta vera fosse fra governo degli esperti, e per questo necessariamente elitario, imposto dall’alto, cieco ai bisogni della volontà popolare, e invece governo dei non-esperti, di figure politiche che vogliono soprattutto “rappresentare” la società che li vota e i suoi sentimenti. Questa è una narrazione un po’ caricaturale: il governo Lega-Cinque stelle non poteva fare del tutto a meno di “esperti”, semplicemente (come ogni altro) ne sceglieva di prossimi ai due partiti.
Nell’Europa di oggi, però, i populisti sembrano rifiutare non tanto le risposte degli esperti, ma anche le domande che questi si pongono. La domanda delle domande è: lo Stato sociale europeo è ancora sostenibile, innanzi alla concorrenza internazionale e agli andamenti della demografia? Macron, “esperto” in prima persona e poi governante, cerca di dare una risposta. I suoi antagonisti rifiutano di porsi il problema. E’ così anche in Italia, dove non a caso il minimo comune denominatore dei populisti è la volontà di tornare indietro, sulla previdenza, al pre-Fornero.
Negli ultimi anni gli “esperti” hanno sbagliato molto e gli elettori, soprattutto dalla crisi del 2007-2008 ad oggi, hanno accolto questi errori con sorpresa e paura. Proprio perché, in precedenza, l’investimento sulla “competenza” come fattore determinante della legittimità di chi governa era stato tanto elevato.
Se Macron non riuscirà a portare a termine la riforma delle pensioni non farà danno soltanto alle casse dello Stato francese. Indebolirà ulteriormente l’idea che servano persone competenti per navigare la globalizzazione e imprimere una rotta a quella corazzata pesante che è lo Stato moderno.
In altri Paesi, gli elettori si sono affidati a leadership “eccentriche”, come quella di Donald Trump, per ottenere cambiamenti che candidati tradizionali non sapevano offrire loro. Da noi purtroppo la pietanza più servita, nel menù elettorale, è la nostalgia: il sogno di far tornare il passato. Quello, non c’è leadership che lo possa realizzare.