Partititi, rischio di apparire monadi senza finestre
NEWS DALLA SEZIONE
Tosca, boom di ascolti: la qualità anche in Tv
Se le «capre» diventano «sardine»
i più visti della sezione
NEWS DALLE PROVINCE
San Foca, mareggiata sgretola la falesia: divieto di avvicinamento
i più letti
L'analisi
Giuseppe De Tomaso
19 Novembre 2019
L’autostrada del Sole venne realizzata in soli cinque anni, addirittura in anticipo rispetto al cronoprogramma dei lavori. Oggi, per costruire un tombino, ha osservato l’industriale Pietro Salini, ci vogliono sei anni. È racchiusa in questa allarmante e disarmante riflessione la diversità tra l’Italia di ieri e l’Italia di oggi, tra la dinamica classe politica del secondo dopoguerra e la statica classe politica del terzo millennio.
Il Fattore Tempo, per la Razza Potentona odierna, è una variabile indipendente o una fastidiosa incombenza. Eppure il Tempo costituisce la principale risorsa economica, non foss’altro perché, per dirla con l’inquieto poeta e scrittore portoghese Fernando Pessoa (1888-1935), chiunque può vendere il proprio Tempo, ma nessuno può mai ricomprarlo.
Che ci sia un’antica e sostanziale divaricazione tra il Tempo della politica e il Tempo dell’economia è pacifico. La politica ha i suoi riti e le sue procedure da rispettare. E meno male. Altrimenti anarchia, menefreghismo e illegalità esonderebbero più dei fiumi in alta Italia.
Ma il rispetto delle procedure, principio fondamentale di ogni consesso democratico, non può trasformarsi in alibi per rinviare a tempo indeterminato la progettazione e la consegna di opere pubbliche indispensabili come il pane. Sì, anche perché l’economia e la società civile hanno esigenze (correre, correre, correre) opposte a quelle del potere pubblico.
Invece, la paralisi costituisce la norma. Tanto che un giurista del calibro di Arturo Carlo Jemolo (1891-1981) così riteneva andasse modificato l’incipit della nostra Costituzione: «L’Italia è una repubblica fondata sul riposo, con i santi protettori San Rinvio, Santa Proroga e il loro figlio San Slittamento». Un vizio assurdo - il Ritardo da Riposo - che accomuna, che unisce il Belpaese più della Nazionale di calcio e del Festival di Sanremo.
La classe burocratica eccelle alla grande nella pratica del riposo, del rinvio e dello slittamento biasimati da Jemolo. E a volte rivendica, quasi con tracotante cognizione di causa. il dovere di non impegnarsi più di tanto. «Se mi dedico al lavoro non penso alla carriera», si giustificò una volta un alto papavero ministeriale di fronte al suo capo che lo sollecitava a non disertare l’ufficio.
Ma anche la classe politica non è da meno. Nei suoi Diari la buonanima (?) di Giulio Andreotti (1919-2013) scrive che «De Gasperi scelse Francesco Miraglia come capo di gabinetto perché “nessuno glielo aveva raccomandato” e si compiaceva delle qualità del generale Corsini, “un autentico militare che non ha conoscenze in campo politico”».
Oggi la linea di Alcide De Gasperi (1881-1954) nella selezione dell’alta dirigenza burocratica verrebbe sommersa da un frullato di commenti conditi di incredulità e commiserazione. Eppure ci fu un periodo in cui il principio della terzietà della Pubblica Amministrazione, codificato da un leader politico e intellettuale di rango come Marco Minghetti (1818-1886), non restò puro auspicio o candida enunciazione. Anzi, come dimostra la condotta degasperiana, quella linea minghettiana incontrerà in seguito adepti fedeli ed esecutori leali. Ecco. Servirebbe riscoprire perlomeno il senso, il significato di quella filosofia politico-amministrativa. Ma forse stiamo chiedendo la luna.
Poveri illusi. La gestione del potere si rivela sempre di più un «fenomeno psicologico», basato sul rapporto esclusivo di comando e obbedienza e, come tale, alieno da ogni esigenza, esonerato da ogni obbligo, risparmiato da ogni premura di valutazione dei risultati concreti delle decisioni (non) adottate.
E qui rimbalza ancora il Fattore Tempo, la cui sottovalutazione è all’origine di molti disastri naturali ed economici che si potrebbero scongiurare. Se il settore produttivo ha fretta perché prima un prodotto o un servizio arrivano sulla scena, meglio è per imprenditori, venditori e consumatori, viceversa la nomenklatura politica non ha mai fretta e ciò a prescindere dai doverosi itinerari delle procedure. Non ha mai fretta, la classe politica, anzi spesso provvede direttamente ad allungare i ritardi, perché raramente un’opera pubblica viene inaugurata dal suo ispiratore/ideatore. Il che suggerisce a molti governanti e amministratori (sono tutti provvisori) di non affannarsi più del dovuto nel progettare cantieri di notevole rilevanza, dal momento che il dividendo politico-elettorale di un battesimo infrastrutturale verrà incassato dai loro successori.
Accade così in molti angoli della Penisola: il freno all’attivismo è figlio del retropensiero di chi teme di dover offrire su un piatto d’argento ai futuri amministratori (e non a se stesso), il tornaconto elettorale di una grande opera o iniziativa.
La storia del mancato raddoppio del binario ferroviario unico Termoli-Lesina - su cui la Gazzetta ha condotto una martellante campagna pluriennale - si spiega (anche o soprattutto) così. Presidenti e assessori molisani hanno lesinato gli sforzi di fronte alla prospettiva di non dover partecipare alla festa inaugurale del raddoppio.
Qualcosa di simile è accaduto per il Mose a Venezia e per tutte le altre parziali infrastrutture pubbliche e per tutte le altre numerose, purtroppo abortite, iniziative industriali che avrebbero migliorato la vita delle persone e di interi territori. L’alleanza contro il Fattore Tempo, anzi contro la Risorsa Tempo, stipulata da politici e burocrati in nome di inconfessabili e machiavellici motivi di carriera individuale, costituisce, sotto sotto, la più grave emergenza nazionale, dal momento che sfugge a ogni radar e a ogni telecamera.
LE RUBRICHE
Lascia il tuo commento
Condividi le tue opinioni su